Viene meno l’obbligo della motivazione, se il lavoratore licenziato ha subito una condanna penale

Pubblicato il 25 gennaio 2010

Un dipendente Inail, già oggetto di una pronuncia penale per truffa, ha visto applicare ad opera dell’Ente assicuratore anche in provvedimento disciplinare nei suoi confronti, che si è concluso con la sua destituzione dal posto di lavoro. Il soggetto ritenendo di essere stato ingiustamente licenziato ha chiesto la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento danni.

La domanda è stata respinta dal Tribunale – anche in sede di appello - così la questione è arrivata di fronte ai giudici di legittimità.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 214/2010 della Sezione lavoro, ha definitivamente condannato il lavoratore respingendo le sue rimostranze.

Per i giudici di legittimità, infatti, non è accettabile il ricorso del lavoratore, che appellandosi all’articolo 9 della legge n. 19/1990 aveva sostenuto che lo stesso non poteva essere licenziato “di diritto” a seguito di una condanna penale, in quanto l’amministrazione doveva assolvere all’obbligo di motivare espressamente le ragioni che avevano condotto al licenziamento. La Corte ritiene, invece, che il provvedimento di licenziamento – a seguito di condanna penale – può essere motivato anche “per relationem”. Cioè, la motivazione può essere autonoma e desunta anche con riferimento ad atti collegati al fatto contestato.

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