Al fine di contrastare l’esercizio abusivo della consulenza in materia di lavoro, il personale ispettivo è tenuto a svolgere specifici controlli sull’attività dei Centri di Elaborazione Dati (CED) come, in particolare, la verifica dell’esistenza dell'incarico formale a un professionista abilitato, la conformità delle attività svolte dal CED ai limiti previsti dalla legge (esclusivamente operazioni di calcolo, stampa e attività accessorie) e l’assenza di attività riservate ai consulenti del lavoro o ad altri professionisti iscritti agli albi previsti dall’art. 1, comma 1, della L. n. 12/1979.
È quanto ha sottolineato l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) con la nota n. 4304 del 12 maggio 2025, ribadendo l’importanza di un presidio rigoroso a tutela della riserva legale indicata nell'art. 1, della L. n. 12/1979. Tale norma attribuisce, in via esclusiva, ai soggetti abilitati (consulenti del lavoro iscritti all’albo, avvocati, commercialisti, ragionieri e periti commerciali) la facoltà di eseguire gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale, qualora il datore di lavoro non li svolga direttamente.
Con la nota n. 4304 del 12 maggio 2025, l’INL ricorda che l’articolo 1 della legge n. 12/1979 stabilisce con precisione le attività in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale che, se non gestite direttamente dal datore di lavoro o da suoi dipendenti, possono essere svolte esclusivamente da soggetti iscritti agli albi dei consulenti del lavoro, degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali, a condizione che questi ultimi abbiano effettuato l’apposita comunicazione preventiva all’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente.
Le imprese artigiane e le piccole imprese possono avvalersi, anche in forma cooperativa, di strutture esterne per l’esecuzione degli adempimenti in materia di lavoro, nel rispetto delle prescrizioni di legge. Il legislatore ammette due distinti canali di supporto esterno:
Il Ministero del Lavoro ha più volte precisato che l’“assistenza” prestata dai Consulenti del Lavoro ai CED non consiste in una delega generica o in un trasferimento di competenze, bensì in un supporto di natura consulenziale, fondato su competenze di natura:
Tali competenze includono tutte le attività valutative e interpretative necessarie alla gestione del rapporto di lavoro. Sono attività professionali, pertanto, non delegabili a soggetti non abilitati.
Il mero sviluppo del calcolo e la stampa dei dati retributivi e le connesse attività strumentali ed accessorie realizzate anche con strumentazione informatica possono, invece, essere svolte anche dai CED.
Il Ministero del lavoro ha avuto modo di chiarire anche quali siano le attività “connesse” consentite ai CED, sottolineando che:
Queste attività sono di tipo esecutivo, meccanico, e non richiedono competenza interpretativa. Per tale motivo, i CED possono svolgerle legittimamente, a condizione che le attività principali e decisionali siano curate da un professionista abilitato.
In base a quanto chiarito da numerosi atti (ML nota n. 7857/2010, INPS circ. n. 28/2011, ML circ. n. 17/2013, Vademecum LUL 2008), sono riservate esclusivamente ai Consulenti del Lavoro (o agli avvocati, commercialisti ed esperti contabili) i seguenti adempimenti:
È escluso che un CED possa autonomamente gestire tali adempimenti.
L’INL, con la nota n. 4304/2025, fornisce le indicazioni operative agli ispettori per lo svolgimento delle verifiche in materia.
Il personale ispettivo deve:
L’intervento di professionisti iscritti in albi di altre province, spesso molto lontane dalla sede dei clienti, evidenzia l’INL, “potrebbe rappresentare un indicatore sull'evanescenza del rapporto professionale esistente tra cliente e consulente e di un più radicato rapporto, invece, col CED”.
La violazione delle disposizioni della L. n. 12/1979 integra il reato di esercizio abusivo della professione, ai sensi dell’art. 348 c.p., che prevede la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da 10.000 a 50.000 euro.
Nei casi più gravi di esercizio abusivo della professione ovvero direzione dell’attività delle persone che sono concorse nel reato stesso sono previste la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 15.000 a 75.000 euro.
L'INL, con la nota n. 4304/2025, ricorda infine che, per configurare il reato in parola, è sufficiente anche un singolo atto professionale abusivo per configurare il reato, e in presenza di più atti coordinati si configura un reato continuato.
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