Accertamento dell’Agenzia delle Entrate: tempi rapidi per le sanzioni

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In data 01/02/2011 funzionari ispettivi in forza presso l'Agenzia delle Entrate operano un accesso presso i locali della ditta individuale Rossi e trovano intenti al lavoro tre operai, la cui presenza non risulta preventivamente comunicata al Servizio per l'Impiego. Dopo aver esaminato il Libro Unico del Lavoro, il personale dell'Agenzia delle Entrate trasmette gli atti istruttori al Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, che riceve il plico in data 01/03/2011. Dopo sette mesi dalla ricezione della documentazione, quindi in data 01/10/2011, gli ispettori ministeriali accedono presso la ditta Rossi e rilasciano verbale di primo accesso in cui danno atto di aver verificato documentazione già controllata dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate. In data 30/10/2011 gli ispettori notificano alla ditta Rossi verbale ispettivo nel quale viene precisato che gli accertamenti sono “consequenziali alle verifiche svolte dall’Agenzia delle Entrate”; tale verbale contiene sanzioni per occupazione in nero dei tre dipendenti trovati intenti al lavoro dal personale dell’Agenzia delle Entrate. Sono legittime le sanzioni adottate dagli ispettori ministeriali?




Durata del procedimento ispettivo: caratteristiche generali

L’arco di durata del procedimento ispettivo, nella fase antecedente all’adozione dell’ordinanza ingiunzione, e segnatamente nello spazio temporale compreso tra l’avvio del procedimento e la notifica del verbale conclusivo degli accertamenti, è governato dalla regola fondamentale di cui all’art. 14, comma 2, della L. n. 689/81. Secondo tale articolo “se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento”. Il mancato rispetto di detto termine - stabilito a pena di decadenza - comporta, comunque, l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato tardivamente.

E infatti tale regola si spiega nella considerazione di garantire:

  • da un lato l’osservanza dei canoni di efficacia e di efficienza dell’azione amministrativa, la cui sequenza procedimentale deve svilupparsi ragionevolmente ed evitare così inutili e illegittimi aggravi della funzione;

  • dall’altro lato di tutelare il soggetto ispezionato, il cui interesse alla legittimità dell’azione postula una verifica ispettiva che, lungi dal protrarsi sine die, si esaurisca in tempi ragionevolmente certi, al fine di scongiurare una sua frustrante soggezione all’organo di controllo e correlativamente consentire un’intellegibile e cadenzata comprensione degli esiti della verifica.

In tale prospettiva appare dirimente stabilire il dies a quo a partire dal quale deve decorrere il termine di cui all’art. 14, comma 2.

Al riguardo la giurisprudenza è pressoché stabile nel ritenere che ai fini della decorrenza del termine di 90 giorni per la notifica degli estremi della violazione ex art. 14, secondo comma, della legge n. 689/1981, ciò che rileva non è unicamente la sola iniziale attività cognitiva della P.A., ma anche quella diretta a conseguire, riscontrare e valutare i necessari ulteriori elementi di fatto utili per la corretta ricostruzione e qualificazione degli eventi; pertanto, in caso di mancata contestazione immediata della violazione, tale termine deve essere fatto decorrere dal momento in cui l’autorità amministrativa che procede abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini dell’esistenza della violazione segnalata”.

L'esigenza di coordinamento nell'ipotesi di più organismi ispettivi

La certezza circa il termine di decorrenza della fine degli accertamenti è sempre di fondamentale importanza e assume particolare rilievo nel caso in cui la legge attribuisce la competenza a svolgere la fase istruttoria del procedimento ispettivo in capo a differenti organi, ma solo uno di costoro risulta tuttavia titolare della competenza a contestare gli illeciti eventualmente riscontrati.

In tali situazioni tornano utili le considerazioni espresse nella c.d. “Direttiva Sacconi” del 18/09/2008, secondo la quale l’attività ispettiva deve spiegarsi attraverso “una logica di servizio e non di mero esercizio di potere, secondo parametri di correttezza, trasparenza e uniformità sull’intero territorio nazionale [...]”. A tal fine prosegue la Direttiva “presupposto indefettibile della programmazione della attività ispettiva è altresì il coordinamento con tutti gli altri organismi incaricati della vigilanza nelle materie di competenza del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, da attuarsi con reciproci scambi di informazione nei tre livelli (centrale, regionale e territoriale), secondo le specifiche disposizioni di cui agli articoli 3, 4 e 5 del decreto legislativo n. 124 del 2004”.

Tale esigenze di coordinamento e razionalizzazione degli accertamenti si concretizzano sempre e, per quel che rileva nel caso di specie, anche nelle verifiche rivolte a contrastare il lavoro sommerso.

Gli accertamenti in materia di lavoro da parte di personale dell'Agenzia delle Entrate

Invero la facoltà di effettuare i relativi accertamenti spetta, tra gli altri anche al personale dell’Agenzia dell’Entrate. Per effetto delle recenti modifiche introdotte con L. n. 183/10, l’illecito relativo all’utilizzo di personale in nero è stato sottoposto, dal Ministero del Lavoro, a procedura di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124/04, la cui mancata adozione comporta l’illegittimità della sanzione applicata. Le modifiche di legge non hanno tuttavia attribuito anche al personale dell’Agenzia delle Entrate il relativo potere di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit., con ciò precludendo a tale organo il potere di contestare la violazione per lavoro sommerso.

In altri termini il personale dell’Agenzia delle Entrate, sebbene competente a effettuare accertamenti in materia di lavoro, risulta per converso incompetente a contestare l’illecito per lavoro sommerso eventualmente riscontrato nel corso dell’accertamento. L’applicazione di tale sanzione viene rimessa al personale ispettivo del Ministero del Lavoro, al quale il personale dell’Agenzia delle Entrate trasmetterà i propri atti di accertamento ispettivo.

In ragione di tale scissione procedimentale appare quindi necessario stabilire quale sia il momento in cui può considerarsi compiuto l’accertamento, dal quale far decorrere il termine di legge per la contestazione.

In sostanza si tratta di verificare se il termine di 90 giorni decorra dal momento in cui il Ministero del Lavoro riceve gli atti ispettivi trasmessi dall’Agenzia delle Entrate o se tale ricezione assuma piuttosto valenza di generica e approssimativa percezione del fatto, suscettibile di procrastinare il dies a quo per il tempo occorrente al personale ispettivo ministeriale di effettuare responsabilmente le indagini di competenza; in questa seconda ipotesi è evidente che il termine dei 90 giorni comincerà a decorrere dal completamento degli accertamenti da parte del personale ispettivo del Ministero del Lavoro.

Constatazione, accertamento e contestazione

Tale disamina richiede un preliminare riscontro sul significato delle locuzioni “constatazione”, “accertamento” e “contestazione” ciò, in quanto, come testé rilevato solo la conclusione dell’accertamento segna il momento iniziale del decorso del termine di 90 giorni previsto dall’art. 14 comma 2 della L. n. 689 cit..

Con insegnamento ormai pluriennale, al punto da definirsi jus receptum, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha precisato che la “constatazione” postula una “acquisizione del fatto nella sua materialità” e che tale percezione “generica e approssimativa” si distingue in maniera chiara e inequivocabile dalla fase di “accertamento” nella quale vengono compiute “tutte le indagine necessarie al fine della piena conoscenza dell’illecito e della congrua determinazione della pena pecuniaria”.

Valenza distinta assume, a sua volta, la fase conclusiva della “contestazione”, con cui l’Amministrazione, muove, nel termine decadenziale di 90 giorni dalla conclusione del giudizio delibativo, un rimprovero di natura afflittiva ovvero ripristinatoria al trasgressore, comunicando a costui ed eventualmente all’obbligato solidale, nell’immediatezza dell’accertamento svolto (c.d. contestazione immediata), ovvero in un momento diverso (c.d. contestazione differita) le determinazioni del caso assunte.

Ricostruita la questione in siffatti termini ben si comprende, a giudizio degli scriventi, come l’attività oggetto dei verbali redatti dall’Agenzia delle Entrate e poi trasmessi al Ministero del Lavoro per l’eventuale contestazione della sanzione per lavoro sommerso, risulta ascrivibile nella fase della “constatazione”, poiché con tale attività il personale dell’Agenzia delle Entrate acquisisce quantomeno una percezione materiale del fatto informante la fattispecie di lavoro nero. Tale illecito, come noto, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 4 della L. n. 183/10 è contrassegnato dall’impiego di lavoratori:

  1. subordinati;

  2. il cui rapporto non sia stato comunicato preventivamente al Servizio per l’Impiego competente;

  3. ovvero nei confronti dei quali non siano stati assolti gli obblighi contributivi.

In ragione di ciò non può sfuggire che il riscontro di uno o di alcuni o anche di tutti i fatti materiali costituitivi dell’illecito (l’espletamento di attività lavorativa, la mancata preventiva comunicazione mediante UNILAV, ovvero la mancata registrazione della posizione previdenziale del lavoratore), qualifichi già di per sé l’attività medesima in termini di “constatazione” della violazione.

Tale attività, tuttavia, non esaurisce anche la fase di “accertamento”, consistente, come sopra visto, nell’espletamento delle opportune indagini volte non a sovrapporsi, bensì anche a integrare i riscontri fattuali dell’Agenzia delle Entrate, al fine di verificare la sussistenza o meno di ulteriori ipotesi di illecito connesse o consequenziali a tali fatti, costituenti, ai sensi dell’art. 10 D.lgs. n. 124/04, fonti di prova, e suscettibili di autonoma valutazione da parte del personale ispettivo del Ministero del Lavoro.

Ma c’è di più. La fase di accertamento consta infatti, anche e necessariamente, di un’attività soggettiva di valutazione delle verifiche fattuali compiute dall’Agenzia delle Entrate. Questa attività è protesa a esaminare non solo la fondatezza di tali verifiche, in chiave di sussistenza del rapporto di lavoro, ma anche di qualificazione giuridica del rapporto medesimo: in tal senso pertanto si tratta di verificare se nel rapporto ricorrano gli indici della subordinazione ovvero dell’autonomia. E ancora la valutazione prosegue nella determinazione del tempo di durata della prestazione di lavoro, nell’esame circa la presenza di eventuali e ulteriori responsabili e in generale di ogni ulteriore elemento richiesto dalla L. n. 689/81 per l’applicazione e la commisurazione della o delle sanzioni amministrative.

Trattasi in sostanza di una attività valutativa che costituisce parte integrante della fase di “accertamento” e che il personale ispettivo del Ministero del Lavoro è tenuto a espletare in piena autonomia, giacché a quest’ultimo è demandata la responsabilità di concludere il procedimento mediante l’eventuale applicazione degli atti sanzionatori.

La decorrenza dei termini per la notifica degli illeciti

Siffatte considerazioni portano gli scriventi a ritenere che il momento da cui fare decorrere il termine di 90 giorni, previsto dall’art. 14 comma 2 della L. n. 689 cit., non coincide automaticamente né con la conclusione dell’attività ispettiva da parte dell’Agenzia delle Entrate, né con la data di ricezione degli atti da questa trasmessi al Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro.

Per vero il dies a quo deve essere individuato secondo canoni di ragionevolezza dettati dalle particolarità dei singoli casi e comunque non necessariamente nel momento in cui il Ministero del Lavoro riceva segnalazioni o atti istruttori provenienti da altri organismi deputati ad effettuare verifiche in materia di fisco, lavoro e previdenza. Ciò significa che proprio la data di ricezione degli atti viene a costituire il parametro per compiere la verifica di ragionevolezza e soppesare pertanto l’eventuale negligenza degli ispettori del lavoro nel tardivo compimento di atti, che avrebbero dovuto o potuto compiere tempestivamente ai fini della conclusione delle verifiche ispettive. Sicché, se appare possibile che a fronte di verifiche elementari e routinarie il termine di 90 giorni possa decorrere dalla data di ricezione degli atti o in prossimità della stessa, è altrettanto possibile che in presenza di fattispecie complesse questo termine vada ancorato ad un fase successiva rispetto a tale data e correlata correttamente al definitivo completamento delle indagini.

In ogni caso, la conoscenza del fatto nella sua materialità, acquisita per effetto della trasmissione degli atti ispettivi, non lascia agli ispettori del lavoro una totale discrezionalità nella determinazione dei tempi di conclusione della fase di accertamento, poiché se così fosse il soggetto destinatario dell’azione amministrativa si troverebbe esposto all’arbitrio dell’organo di vigilanza del tutto libero di stabilire unilateralmente e senza controllo alcuno la sequenza temporale del procedimento.

Conformemente alle indicazioni ministeriali, si ritiene piuttosto che il decorso di un significativo lasso temporale tra il momento della conoscenza dei fatti e l’avvio della fase di valutazione determina una palese violazione del principio del giusto procedimento e meritevole di generare l’illegittimità delle eventuali sanzioni amministrative per decorrenza del termine di cui all’art. 14 comma 2 della L. n. 689 cit..

Esame del caso concreto

Ebbene le complessive argomentazioni sopra svolte portano a concludere che, nel caso di specie, gli ispettori del lavoro non abbiano adottato provvedimenti sanzionatori rispettosi dei giusti termini di conclusione del procedimento.

Procedendo con ordine: il 01/02/2011 il personale dell’Agenzia delle Entrate ha effettuato un accesso ispettivo presso la ditta individuale Rossi, nel corso del quale ha riscontrato la presenza al lavoro di tre lavoratori. Nell’occasione l’organo di vigilanza ha acquisito puntuali e circostanziate dichiarazioni da parte dei lavoratori e ha riscontrato che l'impiego di questi ultimi non era stato preventivamente comunicato, dal datore di lavoro, al Servizio per l’Impiego, né erano stati assolti in favore dei lavoratori gli adempimenti contributivi di legge. Il personale dell’Agenzia delle Entrate, dopo aver esaminato anche il LUL, ha poi trasmesso gli atti istruttori al Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, che ha ricevuto il plico in data 01/03/2011. Da tale momento pertanto gli ispettori del lavoro sono stati posti nella condizione di conoscere il contenuto degli atti istruttori e avviare le attività istruttorie e valutative di competenza.

Tale attività tuttavia è stata cominciata solo il 01/10/2011, quindi dopo sette mesi dalla ricezione degli atti dell’Agenzia delle Entrate, mediante redazione di verbale di primo accesso ispettivo in cui gli ispettori del lavoro davano atto di aver esaminato la documentazione all’epoca già verificata dal personale dell’Agenzia delle Entrate. In data 30/10/2011 gli ispettori notificavano alla ditta Rossi verbale nel quale veniva precisato che gli accertamenti ispettivi erano “consequenziali alle verifiche svolte dall’Agenzia delle Entrate”. Con il verbale gli ispettori del lavoro sanzionavano la ditta Rossi per occupazione in nero dei tre dipendenti trovati intenti al lavoro dal personale dell’Agenzia delle Entrate.

Ebbene, proprio il contenuto puntuale e circostanziato degli atti istruttori compiuti dall’Agenzia delle Entrate, parametrati anche in relazione alla natura della fattispecie oggetto di valutazione degli ispettori del lavoro, consistente nel riscontare l’irregolare occupazione in nero di tre dipendenti, non tollerava, a giudizio degli scriventi, il decorso di un lasso di tempo di sette mesi tra la ricezione degli atti (01/03/2011) e l'avvio della fase di valutazione (01/10/2011) da parte del Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro. Nel corso dei sette mesi tali atti sono rimasti giacenti presso gli uffici della DTL, senza che questa, per il tramite di proprio personale, procedesse al compimento di rilevanti provvedimenti intermedi. L’inerzia evidenzia la violazione del canone di ragionevolezza circa il tempo necessario per compiere una valutazione tutt’altro che complessa, come emerge, infatti, in maniera sintomatica dal tempo trascorso tra la data della visita effettuata dagli ispettori del lavoro (01/10/2011) e la conclusione della verifica da costoro effettuata (30/10/2011). In relazione a ciò la DTL non ha allegato circostanze di fatto dalle quali poter desumere l’esistenza di obiettivi impedimenti o necessità istruttorie diverse, in grado giustificare il ritardo con il quale le operazioni di verifica sono state iniziate, restando a tal fine irrilevante l’eventuale sussistenza di pratiche arretrate presso gli uffici ispettivi.


NOTE

i Cfr. Cass. Civ. n. 19778/2006.

ii Cfr. Cass. Civ. n. 9456/2004.

iii Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 14/09/2009, n. 19771. E ancora cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 06/11/2009, n. 23608, che ha ritenuto tempestiva la contestazione in relazione alla data di notifica del verbale di accertamento, senza che assumesse rilievo la data di accesso al cantiere o quella successiva di invio della documentazione da parte dell'impresa, attesa la complessità degli accertamenti compiuti, relativi ad una molteplicità di violazioni e a numerosi lavoratori. Analogamente Cass. civ. Sez. V, 30/10/2009, n. 23016; ex multis Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 14/09/2009, n. 19771; Cass. civ. Sez. lavoro, 01/04/2009, n. 7951; Cass. civ. Sez. II, 06/02/2009, n. 3043; conforme a tale principio anche la giurisprudenza amministrativa cfr. T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, 14/10/2010, n. 32811.

Principio richiamato anche dalla Circolare n. 41/2010 del Ministero del Lavoro.

iv Dall’art. 3 comma 5 del D.L. n. 12/02 conv. in L. n. 72/02, come sostituito prima dal comma 7 dell'art. 36-bis D.L. 4 luglio 2006, n. 223, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e poi dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 4 della L. 4 novembre 2010, n. 183, si ricava che l’accertamento in materia di lavoro sommerso viene demandato agli “organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza […]”.

vi Cfr. circolare n. 9 del 2006 del Ministero del Lavoro. In tal senso cfr. Trib. Fermo 13/05/2005; Trib. San Benedetto del Tronto 28/04/2006.

vii In tal senso, cfr. nota Agenzia delle Entrate del 28 aprile 2011 e condivisa dal Ministero del Lavoro con nota prot. n. 9117 del 6 giugno 2011.

viii Cfr. Cass. civ. Sez. I, 07/05/2004, n. 8692.

ix Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 17/02/2004, n. 3115.

x Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 09/03/2007, n. 5395; ex multis cfr. Cass. civ. Sez. I, 18/02/2005, n. 3388.

xi Articolo 3 del D.L. n. 12/02 conv. con mod. in L. n. 73/02 come da ultimo modificato dall’art. 4 della L. n. 183/10 per cui “ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, si applica altresì la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L’importo della sanzione è da euro 1.000 a euro 8.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorato di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo. L’importo delle sanzioni civili connesse all’evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore irregolare di cui ai periodi precedenti è aumentato del 50 per cento”. Sempre l’art. 4 della L. n. 183 cit ha sostituito il comma 4 dell’art. 3 D.L. n. 12 cit nel senso che “le sanzioni di cui al comma 3 non trovano applicazione qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione”.

xii Orientamento diverso e restrittivo è stato adottato nel corso dell’anno 2011 dalla Direzione Regionale del Lavoro dell’Umbria, la quale nell’accogliere un ricorso presentato ai sensi dell’art. 17 D.lgs. 124/2004 per l’impugnativa di verbali ispettivi adottati sulla base di atti trasmessi dall’INPS, ha precisato che “il dies a quo del termine di cui all’art. 14, comma 2, l. 689/1981 decorre dal giorno in cui i medesimi verbali sono pervenuti alla Amministrazione competente, in quanto diversamente argomentando il termine in parola verrebbe rimesso alla mera discrezionalità della P.A. con la conseguente vanificazione dello stesso”. Ciò sul presupposto che “la verifica espletata dal personale della Direzione Provinciale del Lavoro si è risolta in un’attività meramente ricognitiva di quella precedentemente effettuata dai funzionari dell’INPS, in quanto gli ispettori del lavoro procedenti si sono limitati ad acquisire documentazione già presa in esame dagli ispettori di vigilanza o comunque non rilevante ai fini dell’accertamento delle violazioni contestate”.

xiii Significativa sentenza Trib. Pesaro, 16-06-2009.


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