Apprendistato professionalizzante: è responsabile il datore di lavoro anche in assenza di offerta formativa pubblica

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L’impresa Alfa assume Caio con contratto di apprendistato professionalizzante. All’atto della stipula Alfa ritiene di impartire la formazione teorica di 120 ore mediante adesione all’offerta formativa pubblica, puntualmente disciplinata con Legge regionale. Sennonché gli Istituti formatori non attivano alcun corso per assenza di risorse disponibili. Caio pertanto non svolge la necessaria formazione teorica. Al termine del periodo di addestramento il personale ispettivo sottopone a verifica il rapporto di Caio e riscontra che l’impresa Alfa ha impartito a costui la formazione pratica, ma non quella teorica, stante la mancanza di risorse funzionali all’offerta formativa pubblica. Il contratto di apprendistato è colpito da nullità? E il datore di lavoro può eventualmente ritenersi responsabile per la mancata formazione?



Premessa

Come affermato in precedenza, il contratto di apprendistato dovrebbe essere uno strumento contrattuale semplice ed estremamente duttile, in grado di coniugare interessi occupazionali e formativi. In tale prospettiva sarebbe essenziale che la relativa disciplina sia connotata da chiarezza e semplicità e cioè da requisiti che si ritrovano nel codice civile agli artt. 2130-2134, ma che invece non pare siano appannaggio del D.lgs. n. 167/11 (di seguito per brevità T.U.). Il contenuto del T.U. è invero costellato da tutta una serie di incombenze formali, nonché da locuzioni ampollose, frutto dell’ingegno anche delle parti sociali, che non rendono servigio all’apprendistato, ma semmai a interessi alieni al rapporto di lavoro. Ad appesantire la materia soccorre una più che intensa prassi amministrativa, che, per sopperire alla mancanza di norme attuative, rischia di svolgere un compito non proprio e suscettibile di creare pericolosi fraintendimenti. Ebbene, in questo quadro si trova ad operare anche il personale ispettivo costretto a districarsi per l’appunto in un ginepraio di circolari, note e interpelli, spesso accomunati, più che da un filo logico, da una costante rincorsa a chiarire interventi frenetici di un legislatore forse mosso da interessi, non di ampio respiro, ma settoriali e contingenti.

La formazione quale causa del contratto di apprendistato


In via pregiudiziale va rilevato che la specialità dell’apprendistato è insita nella causa di tale contratto, qualificata mista o complessa, perché concentra l’obbligo della prestazione con quello della formazione. Quest’ultima al tempo stesso rende peculiare la durata del rapporto, codificata a tempo indeterminato all’art. 1 del T.U., ma estinguibile ad nutum al termine del periodo di addestramento.

Si ritiene che l’aver specificato all’art. 1 del T.U. che l’apprendistato assolve anche a una finalità occupazionale non elimina la specialità della causa, la quale, anche a seguito del T.U., resta comunque connotata da un tasso di formazione, senz’altro quantitativamente attenuato rispetto al passato ed eseguibile prevalentemente on the job, ma comunque tale da ascrivere il contratto nel novero dei negozi formativi. Tale postulato è stato ribadito recentemente anche dalla Suprema Corte secondo cui la formazione deve essere modulata “[…] in relazione alla natura e alle caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere […]” e che deve essere “[…] adeguata ed effettivamente idonea a raggiungere lo scopo del contratto, che è quello di attuare una sorta di ingresso guidato del giovane nel mondo del lavoro”.

La formazione nell’apprendistato professionalizzante


Lo stato dell’arte prevede per l’apprendistato professionalizzante una formazione consistente in un
addestramento pratico, volto all’acquisizione di competenze tecnico-professionali, e un insegnamento teorico avente ad oggetto “l’acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte complessivo non superiore a centoventi ore per la durata del triennio. Alla legislazione regionale viene demandata la disciplina dell’insegnamento teorico integrante, praticabile eventualmente all’interno dell’azienda ovvero all’esterno di essa, mediante il canale pubblico, attuabile, ai sensi dell’art. 4 comma 3 del T.U., “nei limiti delle risorse annualmente disponibili”. Nelle more della disciplina regionale l’art. 7 comma 7 del T.U. si accontenta della formazione pratica gestita in azienda attesa la “immediata applicazione delle regolazioni contrattuali vigenti”. L’art. 6 comma 2 del T.U. impone l’obbligo di registrazione della formazione nel libretto formativo del cittadino, previsto dall’art. 2 comma 1 lett. i) del D.lgs. n. 276/03 e dal D.M. 10 ottobre 2005, ma tuttora in molte Regioni non istituito. In attesa che queste ultime si destino dalle braccia di Morfeo, non resta che attenersi alle indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro, che, con risposta a interpello n. 50 del 2008, ha previsto l’annotazione della formazione in un idoneo registro che consenta la tracciabilità della formazione.

L’offerta formativa pubblica


La circostanza che il datore di lavoro sia obbligato a garantire all’apprendista una duplice prestazione formativa, rispettivamente di natura pratica e teorica, porta a ritenere che il vincolo obbligatorio in questione abbia natura complessa. Ciò significa che
il datore di lavoro è liberato dall’obbligazione solo nel momento in cui esegue correttamente entrambe le prestazioni. La peculiarità è rappresentata dal fatto che la formazione teorica è praticabile nella misura in cui le Regioni abbiano emanato la relativa disciplina, nelle more della quale, la disposizione di cui all’art. 7 comma 7 del T.U., circoscrive l’addestramento al piano eminentemente pratico. Pertanto, in assenza di regolamentazione regionale, il datore di lavoro può considerarsi adempiente qualora garantisca all’apprendista la formazione aziendale, così come disciplinata dal contratto collettivo di riferimento.

Laddove invece le Regioni abbiano regolamentato anche la formazione teorica, il datore di lavoro è tenuto ad adempiere al proprio obbligo formativo teorico alternativamente all’interno della propria azienda, qualora sia in possesso di capacità formative, ovvero in mancanza di tali capacità, avvalendosi dell’offerta pubblica, sempre che, ai sensi dell’art. 4 comma 3 del T.U., vi siano sufficienti risorse disponibili.

Il problema si sposta così sulle conseguenze scaturenti nell’ipotesi in cui tali risorse non fossero sufficienti e in particolare sul portato dell’art. 7 comma 1 del T.U., che, nel confermare la previsione già introdotta dall’art. 53 comma 3 del D.lgs. n. 276 cit., prevede l’irrogazione di sanzioni per il caso di inadempimento agli obblighi formativi.

La disciplina sanzionatoria


Rispetto all’art. 53 comma 3 del D.lgs. n. 276 cit., l’art. 7 comma 1 del T.U. si differenzia perché contempla due trattamenti sanzionatori diversificati a seconda che la formazione sia o meno recuperabile. Sicché, mentre nel primo caso gli obblighi formativi da recuperare costituiranno oggetto di un provvedimento di disposizione, nella seconda ipotesi il personale ispettivo non potrà che procedere alla conversione del contratto e applicare la sanzione previdenziale consistente nel pagamento delle differenze contributive indebitamente fruite dal datore di lavoro maggiorate del 100%. In ogni caso il comune denominatore di entrambe le fattispecie è rappresentato dalla circostanza che l’inadempimento all’obbligo formativo sia imputabile esclusivamente in capo al datore di lavoro. Sicché si tratta di verificare se tale responsabilità sussista anche nell’ipotesi di assenza della risorse pubbliche per l’espletamento della formazione teorica. Sostanzialmente un contratto di apprendistato rimane tale anche se la formazione pubblica, che concorre a qualificarne la causa, non viene erogata per assenza del canale pubblico?

La prassi amministrativa


Il Ministero del Lavoro con circolare n. 29 del 2011, emanata di seguito alla promulgazione del T.U., ha ritenuto di prendere posizione sull’argomento affermando che “[…] qualora la mancata formazione sia dovuta esclusivamente alla mancanza di canali di formazione pubblica, la disposizione non potrà essere adottata e il personale ispettivo si limiterà a rilevare la carenza formativa, senza predisporre altro provvedimento se non la verbalizzazione conseguente all’ispezione, congiuntamente ad una informativa sintetica rivolta all’apprendista”.

Dal testo sembra di capire che, ove sia stata carente l’offerta formativa pubblica, il personale ispettivo dovrebbe “limitarsi” a fare da spettatore e “sussurrare” la circostanza all’apprendista, al quale spetterebbe in via esclusiva ogni rivendicazione in merito.

Sennonché “acta exteriora indicant interiora secreta” (“Gli atti esteriori manifestano i segreti interiori”).

Pare in altri termini che il Dicastero voglia arginare gli effetti della nullità parziale del contratto per vizio parziale della causa, mediante un inusitato implicito riconoscimento di legitimatio ad causam in favore del solo lavoratore.

Ma qui, il Ministero, diversamente dall’ipotesi di cui all’art. 2 comma 1 lett. a) del T.U., non poteva appellarsi, per giustificare l’assunto, all’istituto della diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124/04, e così si è “limitato” ad ammonire gli ispettori di non verbalizzare altro che il mancato espletamento della formazione.

A sommesso avviso degli scriventi tale impostazione suona un po’ “pilatesca” e non del tutto convincente per le seguenti considerazioni.

Osservazioni critiche


Invero il tentativo di contenere o limitare l’attività dei propri funzionari si infrange sia sul principio dell’indisponibilità degli effetti (i quali, infatti, promanano non dalla volontà, ma sempre e comunque dall’ordinamento giuridico), sia sulla natura dichiarativa della nullità. Quest’ultima infatti è categoria invalidante che rileva per legge a fronte di una mancata integrazione della fattispecie normativa. Sicché il conseguente provvedimento amministrativo o giurisdizionale non ha natura costitutiva, ma di mero accertamento, poiché “si limita” a dichiarare lo stato di fatto contra legem, senza modificare la situazione giuridica preesistente.

Per cui affermare che il personale ispettivo debba limitarsi “a rilevare la carenza formativa, senza predisporre altro provvedimento se non la verbalizzazione conseguente all’ispezione”, significa - ça va sans dire - che gli ispettori debbano verbalizzare, ergo dichiarare, implicitamente il vizio parziale di causa dell’apprendistato per mancata integrale realizzazione dell’elemento causale, cui consegue un automatico e altrettanto indisponibile effetto di conversione del negozio in un ordinario contratto subordinato a tempo indeterminato.

L’orientamento della giurisprudenza


La giurisprudenza
, pur formatasi nel pregresso sistema normativo, ma con un regime sanzionatorio tendenzialmente immutato, è comunque orientata nel ritenere che il vizio parziale di causa dovuto alla mancata erogazione della formazione non possa che determinare, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 1418 II e 1339 c.c., la nullità dell’apprendistato e, in applicazione del principio della conservazione del negozio, la sua consequenziale conversione in ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato.

L’implicita e inevitabile riqualificazione ex lege del rapporto di lavoro dovrebbe essere altresì accompagnata dall’applicazione dei trattamenti sanzionatori previsto dall’art. 7 comma 1 del T.U., invero scongiurata dal Ministero con la predetta circolare.

La responsabilità del datore anche in carenza di risorse per l’offerta formativa pubblica


Come sopra accennato, nella struttura contrattuale la formazione è articolata in insegnamento pratico e teorico e il datore di lavoro non può ritenersi liberato dall’obbligazione se non esegue correttamente entrambe le prestazioni.

Segnatamente l’obbligazione consistente nella formazione teorica, sempre che sia stata disciplinata dalla Regione, può essere impartita all’interno o all’esterno dell’azienda. In tal modo il datore di lavoro può scegliere l’attivazione di uno dei due canali formativi. Ciò a giudizio degli scriventi rappresenterebbe nient’altro che una modalità di esecuzione dell’obbligazione. L’assenza di risorse che garantiscano l’avvio di corsi di insegnamento pubblici costituirebbe a sua volta un fatto estintivo non dell’obbligazione, ma semmai della facoltà di scelta del datore di lavoro. Quest’ultimo verrebbe tutt’al più privato della possibilità di ricorrere al canale pubblico. Ma ciò non pare che possa pregiudicare il diritto dell’apprendista a vedersi impartire le richieste cognizioni teoriche, con la conseguenza che queste ultime dovrebbero essere fornite dalla parte datoriale all’interno dell’azienda, previa acquisizione di idonee capacità formative, pena, si ritiene, l’invalidità del contratto di apprendistato. Sarebbe pertanto onere del datore di lavoro sincerarsi, all’atto della stipula del contratto di apprendistato, che l’offerta formativa pubblica sia effettivamente funzionante. L’assenza di tale accertamento, in congiunta con la mancata esecuzione dell’addestramento teorico, determinerebbe inadempimento agli obblighi contrattuali per esclusiva responsabilità della parte datoriale, con conseguente applicazione del regime normativo previsto dall’art. 7 comma 1 del T.U.. Secondo tale prospettiva, per scongiurare la conversione del rapporto e la sanzione previdenziale, sarebbe necessario che gli obblighi formativi siano ancora recuperabili. In tale caso il provvedimento di disposizione avrebbe ad oggetto l’organizzazione di idonei corsi di insegnamento teorici da espletare all’interno dell’azienda, per il tramite di personale qualificato.

Ritenere diversamente, e quindi aderire alla prospettazione prescelta dal Ministero, significa consentire al datore di lavoro di crogiolarsi dietro la semplice richiesta di attivazione del canale pubblico sull’errato presupposto che tale comunicazione costituisca sempre e comunque un salvacondotto volto a cancellare le proprie responsabilità contrattuali, scaricando sull’apprendista gli aspetti patologici del contratto.

Gli scriventi sono pienamente consapevoli della rigidità di una tale prospettiva. Ma sono altrettanto convinti che la stessa è forse conseguenza di una costruzione dell’apprendistato che avrebbe meritato una diversa disciplina, in cui la formazione teorica avrebbe dovuto essere garantita mediante un’effettiva integrazione e interrelazione tra lavoro e sistema pubblico scolastico.

Ma di ciò l’ispettore non dovrà farsene carico e, accantonando i propri convincimenti, “si limiterà” consapevolmente a prendere atto della natura subordinata del proprio rapporto, seguendo le istruzioni del proprio datore di lavoro. E infatti così ha operato il personale ispettivo per la soluzione del caso che occupa.

Il caso concreto


L’impresa Alfa ha assunto Caio con contratto di apprendistato professionalizzante. All’atto della stipula Alfa ha ritenuto di impartire la formazione teorica di 120 ore fruendo dell’offerta formativa pubblica, puntualmente disciplinata con Legge regionale. Sennonché gli Istituti formatori non attivano alcun corso per assenza di risorse disponibili. Caio pertanto non svolge la necessaria formazione teorica. Al termine del periodo di addestramento il personale ispettivo ha sottoposto a verifica il rapporto di Caio e ha riscontrato che l’impresa Alfa ha impartito a costui la formazione pratica, ma non quella teorica, stante la mancanza di risorse funzionali all’offerta formativa pubblica.

Alla luce di tali premesse e in applicazione della circolare n. 29 cit. il personale ispettivo rileverà le modalità fattuali che hanno contrassegnato l’esecuzione del rapporto e attesterà nel verbale la mancata attuazione della causa del contratto di apprendistato per circostanze non imputabili esclusivamente al datore di lavoro, senza adottare alcun provvedimento sanzionatorio.

Come rilevato nel corpo della presente esposizione tale soluzione, seppure in linea con le istruzioni ministeriali, non appare convincente perché deresponsabilizza la parte datoriale preservandola dalle conseguenze sanzionatorie di cui all’art. 7 comma 1 del T.U., la cui applicazione sarebbe pertinente, atteso che l’obbligo di garantire all’apprendista la formazione teorica è posto in capo al datore, il quale, in assenza di canali pubblicistici, è tenuto ad eseguire la prestazione avvalendosi delle proprie risorse.

Va comunque rilevato che recentemente il Ministero del Lavoro con circolare n. 5/2013 ha ritenuto di configurare la responsabilità datoriale qualora la formazione trasversale, nelle more dell’intervento regionale, sia stata rimessa dalla contrattazione collettiva in capo al datore di lavoro, il quale sarà tenuto in ogni caso ad erogarla all’interno della propria azienda. Tale assunto si muove nella direzione prospettata dagli scriventi, volta alla responsabilizzazione delle parti contrattuali.

D’altronde, un’adesione alla prospettazione ministeriale contenuta nella circolare n. 29 cit. non garantirebbe l’impresa da una eventuale rivendicazione giudiziaria di Caio volta conseguire un provvedimento giurisdizionale dichiarativo del vizio causale del contratto di apprendistato. Inoltre, sul piano amministrativo, tale provvedimento promanerebbe dalla verbalizzazione degli ispettori, la quale non costituirebbe affatto una “non decisione”, ma rappresenterebbe piuttosto una implicita dichiarazione di nullità dell’apprendistato per vizio parziale della causa con conseguente conversione ex lege del rapporto formativo in ordinario rapporto di lavoro.


NOTE

iCfr. Cass. Civ. n. 2694/84; Cass. Civ. n. 5479/78; recentemente nella giurisprudenza di merito cfr. Trib. Milano 9/12/2010.

ii Così in giurisprudenza è stato affermato che “il contratto di apprendistato è contratto di lavoro a tempo indeterminato. La sua peculiarità sta nel fatto che, da un lato, entro un certo termine stabilito dalle parti nel rispetto dei limiti di legge e di contrattazione collettiva, nel suo contenuto è presente il dovere di insegnamento ed i relativi necessari adattamenti alle prestazioni corrispettive e, dall’altro, proprio in considerazione di questo aspetto, il legislatore ha mantenuto la facoltà di recesso ‘ad nutum’ alla scadenza del predetto termine. Il termine di durata del contratto di apprendistato, dunque, non delimita nel tempo l’efficacia dell’intero contratto (come avviene nei contratti di lavoro a termine), ma soltanto di quelle peculiari caratteristiche delle obbligazioni reciproche legate allo scopo formativo del contratto stesso. La sua scadenza, dunque, non determina lo scioglimento del rapporto, ma costituisce in pratica un giustificato motivo ‘ex lege’ di licenziamento”. Cfr. Tribunale Torino, 13 aprile 2005.

iii Cfr. Cass. Civ. 13/02/2012 n. 2015, la motivazione è corretta e coerente e la parte conclusiva di essa, con la quale viene marginalizzato il ruolo dei corsi esterni da eseguire solo in funzione della fruizione delle agevolazioni contributive, non deve trarre in inganno, perché formulata in ragione dell’allora regime normativo dettato dall’art. 16 comma 2 della L. n. 196 del 1997.

iv Il Ministero del Lavoro aveva già trattato le conseguenze della mancata formazione con circolare n. 27 del 2008 nella quale, diversamente che nella circolare n. 29 del 2011, non era stato affrontato in maniera diretta l’ipotesi della carenza di formazione pubblica.

v In particolare è stato statuito che è necessario lo svolgimento effettivo e non meramente figurativo delle prestazioni lavorative da parte del dipendente e al contempo della corrispondente attività di insegnamento da parte del datore di lavoro. Cfr. Cass. sez. lav. 11.5.2002, n. 6787; Cfr. Cass. Civ. n. 11482/02; sicché ove suddetto aspetto manchi e le mansioni dell’apprendista non siano in realtà intrinsecamente formative, deve riconoscersi l’esistenza di un comune rapporto subordinato. Cfr. Cass. sez. lav. 20.8.1987, n. 6972; per la giurisprudenza cfr. Tribunale Savona, sez. lav., 02 maggio 2006; analogamente cfr. Tribunale Milano, 20 luglio 2004; cfr. Tribunale Milano, 20 luglio 2002; Trib. Milano 23/10/2003.

vi Cfr. Ministero del Lavoro, circolare n. 5/2013. “[…] In relazione al contratto di apprendistato professionalizzante le responsabilità legate al corretto adempimento degli obblighi formativi vanno inquadrate diversamente a seconda che si tratti di formazione trasversale o di formazione di tipo professionalizzante o di mestiere. Per quanto concerne la formazione trasversale, poiché quest’ultima è disciplinata e gestita dalle Regioni, è possibile rinviare a quanto già chiarito in relazione al contratto di apprendistato per la qualifica o il diploma professionale. Al riguardo è solo possibile precisare che:

  • laddove la Regione decida di rendere facoltativa tale formazione, in assenza della configurabilità di un vero e proprio obbligo, in caso di mancata formazione non è possibile l’adozione di un provvedimento di carattere sanzionatorio e quindi della disposizione;

  • laddove il contratto collettivo di riferimento scelga di rimettere al datore di lavoro l’obbligo di erogare anche la formazione trasversale, nelle more dell’intervento della Regione, non potrà non ravvisarsi un corrispondente “ampliamento” delle responsabilità datoriali e pertanto dei connessi poteri sanzionatori in capo al personale ispettivo […]”.

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