Assenza per malattia causata dal datore: non computabile nel comporto

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Assenza per malattia causata dal datore: non computabile nel comporto

L’assenza per malattia causata dall’assegnazione di mansioni non conciliabili con le precarie condizioni di salute del dipendente non può essere considerata ai fini del superamento del periodo di comporto.

Licenziamento per superamento del periodo di comporto, illegittimo

Se l'infermità del dipendente è causata dalla nocività delle mansioni assegnate o dell'ambiente di lavoro o da comportamenti di cui il datore di lavoro sia responsabile, la relativa assenza - risultando detratta dal computo del periodo di comporto - non consente il recesso del datore di lavoro anche una volta che questo sia stato superato.

E’ il principio richiamato dal Tribunale di Busto Arsizio nel testo della sentenza del 5 febbraio 2021, pronunciata in accoglimento del ricorso promosso da un lavoratore - un dipendente di una società di handling aeroportuale - ai fini della declaratoria di nullità del licenziamento comminatogli per avvenuto superamento del periodo di comporto.

Il prestatore aveva dedotto che ai fini del calcolo del periodo di comporto erano state considerate anche le assenze per malattia imputabili all’assegnazione di "turnazioni fuori banco ripetute e continuative" che mal si conciliavano con le sue condizioni di salute.

Alla luce dell’istruttoria, era emerso che il dipendente, al rientro da un periodo di aspettativa, aveva sollecitato i preposti aziendali circa l'oggettiva difficoltà nello svolgere per diverse ore di seguito lo specifico ruolo di “fuori banco, caratterizzato dall’espletamento di tutta una serie di mansioni che impedivano all'addetto di sedersi, anche per brevi periodi.

Si trattava di condizioni di lavoro che – secondo i giudici di merito - non si conciliavano con le condizioni di salute dell'opponente, il quale si era poi assentato dal lavoro per brevi periodi di malattia, anche di soli 2 o 3 giorni, proprio per recuperare un eccessivo dispendio di energie.

Tutti questi brevi periodi, come detto, erano stati computati da parte dell'azienda ai fini del calcolo del periodo di comporto ed avevano concorso al suo superamento per soli 10 giorni.

Comportamento omissivo del datore di lavoro: mancata adozione di tutele

In tale contesto, la difesa del ricorrente aveva posto l'accento sul comportamento omissivo della società datrice di lavoro: questa, in virtù degli obblighi derivanti dall'art. 2087 del Codice civile, avrebbe dovuto intervenire in modo più incisivo adottando misure adatte a contenere il disagio del lavoratore dal momento che, peraltro, era a conoscenza delle sue precarie condizioni di salute.

Era infatti verosimile che se il ricorrente fosse stato adibito a mansioni più consone, il numero delle sue assenze per malattia sarebbe stato inferiore.

Alla datrice di lavoro, in definitiva, era imputabile di aver ritardato nell'adottare misure a tutela della salute del dipendente e di aver in tal modo contribuito causalmente all'aggravamento delle condizioni di salute del medesimo e quindi, quantomeno, a talune delle sue assenze per malattia.

Il Tribunale, oltre a dichiarare la nullità del licenziamento, ha condannato la datrice alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e al pagamento in favore del medesimo, a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni perdute dalla data del licenziamento sino all'effettiva reintegra.

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