Basta il nesso causale tra il danno subito e la prestazione svolta per il risarcimento del danno differenziale

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Una dipendente bancaria cita in giudizio la banca per vedersi riconosciuti i danni differenziali subiti durante le diverse rapine in cui è rimasta coinvolta la filiale dove la stessa prestava servizio. La Corte d’appello respinge il ricorso sostenendo la mancanza di prove atte a dimostrare l’omessa predisposizione di adeguate misure di sicurezza da parte del datore di lavoro, essendosi la lavoratrice limitata ad evidenziare solo la manifestazione di segni di paura e disagio.

La vicenda giunge in Cassazione. Con la sentenza n. 17585/2013 del 18 luglio, la Sezione lavoro ribalta la pronuncia della Corte d’appello dell’Aquila e accoglie il ricorso dell’impiegata.

Nelle motivazioni, infatti, si legge che: “il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno”.

Dunque, in base alla corretta ripartizione processuale degli oneri probatori per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, al datore di lavoro spetta non solo l’onere di provare il proprio adempimento, ma anche l’eventuale inadempimento dovuto a cause a lui non imputabili. Mentre, sul lavoratore grava solo l’onere di provare l’esistenza del danno subito e la nocività dell’ambiente di lavoro, oltre che l’eventuale nesso tra le due cose, senza la necessità anche di una prova dell’assenza di adeguate norme antinfortunistiche oppure dell’indicazione delle misure non adottate da parte del datore di lavoro.
Anche in
  • Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi, p. 27 - Misure di sicurezza carenti, prova leggera per l'addetto - Pascasi

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