Bonus cultura illegalmente convertito in denaro: truffa aggravata

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Bonus cultura illegalmente convertito in denaro: truffa aggravata

Commette il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, e non un'indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, chi, fraudolentemente, converte in denaro il Bonus cultura 18 app.

La Corte di cassazione, con sentenza n. 29563 del 7 luglio 2023, ha accolto, con rinvio, il ricorso promosso dal Procuratore della Repubblica contro la decisione con cui il Tribunale del riesame, in sede di provvedimenti impositivi di misure cautelari a carico di alcuni indagati, aveva qualificato i fatti loro contestati ai sensi dell'art. 316-ter, comma 2, c.p. anziché come truffa aggravata ex art. 640-bis c.p.

La vicenda all'attenzione degli Ermellini riguardava un'articolata operazione di fraudolenta e vietata conversione in danaro del cd. bonus cultura 18app, ideata, organizzata e compiuta dagli esercenti di un'attività commerciale nel triennio 2016 - 2019.

Conversione buono in cambio di corrispettivo: truffa ai danni dell'ente erogatore

Gli stessi avevano reclutato migliaia di neo-diciottenni ai quali richiedevano le credenziali del buono ricevuto dal MIBACT e, in cambio di un corrispettivo, assicuravano l'erogazione in denaro al posto della prestazione di beni o servizi culturali per i quali il bonus era stato normativamente predisposto.

Nel dettaglio, dopo che buono e beneficiario erano registrati sull'apposita piattaforma informatica, gli indagati simulavano sistematicamente la vendita di libri o la cessione di beni e servizi culturali - in realtà mai effettuata - mediante false dichiarazioni e false registrazioni contabili, al solo scopo di conseguire i successivi ed ingenti rimborsi erogati dal MIBACT per l'intero ammontare del buono, ottenendo un cospicuo profitto.

Secondo il Tribunale, la condotta contestata non poteva essere qualificata come truffa in quanto mancava l'elemento costitutivo della induzione in errore, considerando l'assenza di controlli preventivi da parte dell'ente erogatore.

Da qui la qualificazione dei fatti come indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, fatti che - secondo il giudice del riesame - non avevano nemmeno rilevanza penale ma di mero illecito amministrativo, considerato l'importo delle singole operazioni illecite, con consequenziale insussistenza anche del reato associativo altresì contestato agli indagati, in quanto finalizzato alla commissione di più "delitti".

Conclusioni, queste, a cui - come detto - si era opposto il Procuratore, secondo il quale nelle condotte degli indagati erano invece individuabili artifici e raggiri idonei ad indurre in errore l'ente erogatore, con consequenziale inquadramento delle condotte nella più grave fattispecie della truffa.

Cassazione: condotte vanno considerate complessivamente

La Corte di cassazione ha ritenuto fondate le doglianze della Procura, dopo aver puntualizzato che non era corretto l'assunto circa la mancanza di previsione normativa di preventivi controlli da parte dell'ente erogatore: il riscontro sulle fatture, collegato ai beneficiari del bonus inseriti in appositi elenchi, è un controllo preventivo, poiché esso precede la liquidazione del corrispettivo - e, dunque, del profitto della truffa in capo agli autori - al soggetto che ha fornito la prestazione e agli esercenti.

Secondo il Collegio di legittimità, in definitiva, la violazione di legge in cui erano incorsi i giudici di merito nella valutazione concreta, consisteva nel fatto di non aver preso in considerazione tutto l'insieme delle condotte commesse dagli indagati per raggiungere l'obiettivo illecito.

Quest'ultimo era stato addirittura perseguito attraverso la costituzione di una associazione per delinquere finalizzata al compimento della rilevante serie di condotte decettive che avevano portato, l'ente erogatore, a ritenere falsamente esistenti tutti i presupposti per il riconoscimento del beneficio, così inducendolo in errore.

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