Cause di licenziamento. La Cassazione sul giudice competente

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Cause di licenziamento. La Cassazione sul giudice competente

La Corte di cassazione ha accolto un regolamento di competenza sollevato nell’ambito di una causa volta all’accertamento della legittimità del licenziamento irrogato da una Srl ad un proprio dipendente.

Nella vicenda esaminata, il Tribunale di Bologna - originariamente adito dalla società datrice di lavoro - aveva giudicato fondata l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dal lavoratore, ritenendo che la sede competente fosse da individuarsi in quella in cui era sorto il rapporto di lavoro ed in cui il dipendente prestava la propria opera.

Per contro, era stata giudicata come irrilevante la circostanza che la società avesse sede legale a Bologna: il lavoratore era stato assunto ed adibito una commessa presso Cosenza e in questa città era stato anche esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione.

La società si era rivolta alla Suprema corte denunciando violazione e falsa applicazione delle disposizioni di legge. A suo dire, era il tribunale bolognese ad aver errato nel ritenere competente l'Ufficio giudiziario di Cosenza in ragione del luogo di svolgimento della prestazione disattendendo la circostanza che la sede dell’impresa era situata a Bologna.

La Suprema corte, con ordinanza n. 21762 del 9 ottobre 2020, ha dichiarato la fondatezza del regolamento di competenza così sollevato, e ciò alla luce del disposto di cui all’art. 413, comma 2, c.p.c.

Rito lavoro, competenza territoriale derogabile con più criteri concorrenti

Nel rito lavoro – ha così evidenziato – si applica anche alle controversie introdotte dal datore di lavoro il principio secondo il quale i fori speciali esclusivi, alternativamente concorrenti tra loro, indicati dall’art. 413, secondo e terzo comma, per individuare il giudice territorialmente competente in una controversia individuale di lavoro subordinato, sono tre:

  • quello ove è sorto il rapporto;
  • quello ove si trova l'azienda;
  • quello della dipendenza ove il lavoratore è addetto (o prestava la sua attività lavorativa alla fine del rapporto).

La lettera della legge non consente, in tale contesto, l'unificazione dei fori nel luogo di svolgimento dell'attività lavorativa.

Nel caso esaminato, quindi, era legittimo che il ricorso fosse stato introdotto dalla società datrice di lavoro davanti al tribunale di Bologna, Ufficio ritenuto territorialmente competente in ragione del luogo ove la medesima aveva la sede societaria.  

Criteri alternativi, nessuna prevalenza 

La Suprema corte ha ricordato che, in tema di competenza territoriale derogabile, per la quale sussistano più criteri concorrenti - nella specie, quelli indicati nel richiamato articolo 413 co. 2 c.p.c - grava sul convenuto che eccepisca un’eventuale incompetenza l'onere di contestare specificamente l'applicabilità di ciascuno dei suddetti criteri e di fornire la prova delle circostanze di fatto dedotte a sostegno di tale contestazione.

In mancanza di tale allegazione, l'eccezione deve essere rigettata, restando, per l'effetto, definitivamente fissato il collegamento indicato dall'attore, con correlata competenza del giudice adito.

L'onere probatorio, nella vicenda in oggetto, non risultava essere stato soddisfatto dal mero richiamo a circostanze differenti, quale il luogo della prestazione, attesa l'alternatività dei criteri previsti e la non prevalenza dell'uno rispetto all'altro.

La determinazione della competenza” – hanno concluso gli Ermellini – “deve essere fatta in base al contenuto della domanda giudiziale, salvo che nei casi in cui la prospettazione ivi contenuta appaia "prima facie" artificiosa e finalizzata soltanto a sottrarre la cognizione della causa al giudice predeterminato per legge”.

Nella vicenda esaminata risultava anche irrilevante il luogo del tentativo obbligatorio di conciliazione, trattandosi di atto amministrativo non influente sulla individuazione del giudice competente.

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