Contratto di inserimento: la riconversione a tempo indeterminato opera anche in presenza di piano formativo individuale

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L’impresa Beta, esercente attività di lavanderia industriale, ha stipulato in data 10 gennaio 2010 un contratto di inserimento della durata di 12 mesi con il lavoratore Tizio, di 30 anni, assegnandogli una qualifica inferiore di due livelli rispetto alla categoria spettante ai lavoratori addetti a mansioni equipollenti. Il contratto conteneva specificamente il piano formativo individuale, con formazione articolata in 16 ore. Alla scadenza dei 12 mesi il contratto, su proposta dell’impresa Beta, è stato trasformato a tempo indeterminato. Nel mese di marzo 2011 il contratto di inserimento di Tizio viene esaminato dal personale ispettivo della DTL; gli ispettori rilevano di fatto che solo 2 delle 16 ore di formazione prevista sono state effettuate e considerano tale violazione un grave inadempimento contrattuale imputabile ad esclusiva colpa del datore lavoro. In ragione di ciò, e in applicazione dell'art. 55 comma 5 del D.lgs. 276/03, il datore di lavoro viene sanzionato esclusivamente con il versamento della quota dei contributi agevolati maggiorati del 100 per cento, senza applicazione di qualsiasi altra sanzione amministrativa. Gli ispettori inoltre non convertono a tempo indeterminato, con decorrenza dalla data della stipula, il contratto di inserimento di Tizio, né mutano la qualifica contrattuale del predetto innalzandola di due livelli e non adottano neppure diffida accertativa per le differenze patrimoniali maturate dal lavoratore come conseguenza di tale conversione. È corretto l'operato degli ispettori?




Caratteristiche generali

La disciplina generale del contratto di inserimento è contenuta negli artt. 54-59 del D.lgs. n. 276/2003. Alla contrattazione collettiva di ciascun livello è demandato il compito di regolamentare specificamente l’istituto. L’art. 54 del D.lgs. n. 276 cit. determina il campo di applicazione soggettivo e oggettivo del contratto.

Dal lato del lavoratore l’art. 54 comma 1 lett. b) stabilisce che tale contratto può essere stipulato anche da coloro che siano “disoccupati di lunga durata, da 29 fino a 32 anni. Ai sensi dell’art. 1 del D.lgs. 181/2000 lett. d) come sostituito dall'art. 1 del D.lgs. n. 297/02, sono considerati disoccupati di lunga durata coloro che abbiano un’età compresa da 29 fino a 32 anni, che, “dopo aver perso un rapporto di lavoro subordinato o cessato un'attività di lavoro autonomo, siano alla ricerca di una nuova occupazione da più di 12 mesi o da più di sei mesi se giovani”. Lo stato di disoccupazione deve essere certificato mediante dichiarazione di responsabilità prodotta dal lavoratore al Centro per l'impiego, unitamente alla documentazione di quest'ultimo che attesti la permanenza di siffatto stato.

Dal lato datoriale, la legittimazione alla stipula è riconosciuta in capo a molteplici soggetti, tra i quali, si segnalano, ai sensi dell’art. 54 comma 2 lett. a), gli “enti pubblici economici, imprese e loro consorzi”. Tale legittimazione soggiace a una duplice condizione, ovvero che il datore di lavoro:

  • abbia “[…] mantenuto in servizio almeno il sessanta per cento dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia venuto a scadere nei diciotto mesi precedenti […]”. In tal contesto vale segnalare che l’art. 54 comma 3 del D.lgs. n. 276 cit. stabilisce che dalla base di computo restano comunque escluse alcune fattispecie di cessazione del rapporto tra le quali vi rientrano “[…] i lavoratori che si siano dimessi […]”. L’art. 59 comma 1 prevede peraltro che “la categoria di inquadramento del lavoratore non può essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è preordinato il progetto di inserimento oggetto del contratto […]”.

  • abbia definito consensualmente con il lavoratore un progetto individuale di inserimento volto a valorizzare e adattare le competenze individuali dei lavoratori all’interno del contesto lavorativo in cui quest’ultimo è tenuto a operare.


Il progetto individuale di inserimento

Il progetto deve essere calibrato in relazione all’arco di durata temporale del contratto che l’art. 57 comma 1 del D.lgs. n. 276 cit. fissa in un minimo di nove mesi e in un massimo di 18 mesi. Ai CCNL nazionali o territoriali e ai contratti aziendali stipulati da R.S.A. o R.S.U. è affidato il compito di determinare, anche all’interno degli enti bilaterali, le modalità di definizione dei piani individuali di inserimento. Nelle more della regolamentazione di dettaglio, il contenuto del piano è stato definito dall’Accordo interconfederale dell’11 febbraio 2004. In base a tale accordo il piano deve inderogabilmente contenere:

  1. la qualificazione da conseguire;

  2. la durata e le modalità della formazione, la quale non deve essere inferiore a 16 ore, ripartite tra prevenzione antinfortunistica (da inserire obbligatoriamente nella fase iniziale del rapporto), disciplina del rapporto di lavoro e organizzazione aziendale.


La funzione del contratto di inserimento e la “eventuale” mancanza di formazione: la circolare del Ministero del Lavoro n. 31 del 2004

Sebbene tali previsioni lascerebbero trasparire una funzionalità formativa del contratto di inserimento, quest’ultimo aspetto è stato tuttavia attenuato dal Ministero del Lavoro che, con circolare n. 31 del 2004, ha puntualizzato che la fattispecie negoziale de qua assolve principalmente a un’altra finalità, consistente per vero nel garantire la collocazione o ricollocazione di soggetti socialmente più deboli o svantaggiati. In altri termini il Ministero ritiene che il contratto di inserimento non abbia una "causa mista", dal momento che secondo l’art. 55 comma 4 del D.lgs. n. 276 cit. l’espletamento dell’attività formativa, da registrare nell’emanando libretto formativo, sarebbe prevista solo in via "eventuale".

A parere degli scriventi tale affermazione, isolatamente considerata, potrebbe indurre a ritenere che l’attività formativa abbia un ruolo non essenziale o marginale per la finalità del contratto: si reputa quindi necessaria un’ulteriore specificazione.

Più propriamente la lettura dell’art. 55 comma 4 del D.lgs. n. 276 cit., congiuntamente con quanto asserito dal Ministero del Lavoro con circolare n. 31 cit., porta, a parere di chi scrive, al seguente ragionamento.


Aspetto fondamentale e non riducibile di tale tipologia contrattuale è l’esistenza formale di un progetto individuale, che deve essere concretamente realizzato e che ha come finalità la collocazione o ricollocazione di soggetti socialmente più deboli o svantaggiati
.

In quest’ottica è prevista un’attività di formazione, nella misura minima di almeno 16 ore, come stabilita dall’Accordo interconfederale dell’11/02/2004, prima richiamato, che, in attuazione del rinvio disposto dall’art. 55 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. alla contrattazione collettiva per regolamentare specificamente l’istituto, rende interpretabile l’aggettivo “eventuale”, nel senso che l’attività formativa da “ipotizzabile” o “possibile” diventa “indispensabile”, e quantificabile nella soglia minima oraria predetta. Ciò significa che al di sotto di tale soglia il progetto debba ritenersi inattuato, anche in considerazione del breve lasso temporale previsto per la formazione, rispetto alla complessiva durata del rapporto, quantificabile in almeno nove mesi. Si evidenzia, inoltre, che il limite delle 16 ore può essere innalzato dai CCNL di categoria e, in tal caso, la valutazione circa l’entità minima di ore di formazione, da effettuare per non svilire la finalità del contratto, va stabilita caso per caso, in relazione al monte ore previsto dal predetto Contratto di settore. Ciò che più interessa, infatti, è che il lavoratore venga “accompagnato” nel processo di crescita professionale attraverso la concorrenza di tutte le tipologie formative possibili, dall’insegnamento teorico all’affiancamento pratico e che il progetto individuale non rimanga “lettera morta”. Ciò in quanto il piano formativo viene a costituire il supporto irrinunciabile per i soggetti deboli e svantaggiati, che in quanto tali non possono essere equiparati nel contesto aziendale al “lavoratore ordinario”, rispetto al quale infatti hanno un deficit socio-professionale. L’importante, quindi, è il complessivo inserimento del lavoratore e che può avvenire anche senza un’ulteriore specifica formazione teorica oltre a quella prevista come minima e quantificata in 16 ore dall’Accordo interconfederale dell’11/02/2004.


Il ruolo del piano formativo

Di conseguenza, per comprendere appieno l’assunto ministeriale, si ritiene che lo stesso debba essere letto in prospettiva con le previsioni che attribuiscono al piano formativo un ruolo rilevante, sia sotto il profilo genetico del contratto sia su quello funzionale del rapporto di lavoro.

E invero, per quanto concerne il primo aspetto l’art. 56 comma 1 D.lgs. n. 276 cit. prevede che il contratto di inserimento deve essere stipulato in forma scritta e in esso deve essere specificamente indicato il progetto individuale di inserimento. La forma è richiesta ad substantiam, sicché in mancanza della stessa l’art. 57 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. commina la nullità del contratto e la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con decorrenza dalla data della stipula. Ciò dimostra inequivocabilmente l’importanza superiore che riveste il progetto di inserimento per la finalità del contratto de quo, giacché se così non fosse il Legislatore non avrebbe di certo previsto la nullità, ergo la categoria invalidante più grave, per la mancata redazione del progetto medesimo.

Se ciò è vero sul piano strutturale, medesimo significato va riconosciuto al progetto rispetto alla funzionalità del contratto: la collocazione o ricollocazione di soggetti socialmente più deboli o svantaggiati. In tale senso pertanto il programma individuale viene a costituire lo strumento mediante il quale perseguire la funzione tipica del contratto, la cui realizzazione appare suscettibile di valutazione postuma, mediante un esame retrospettivo del percorso teorico-pratico seguito dal lavoratore lungo il periodo di durata del rapporto di lavoro.


Aspetti sanzionatori del contratto di inserimento

Rimangono a questo punto da chiarire due ulteriori aspetti, che attengono proprio al regime sanzionatorio di cui all’art. 55 comma 5 del D.lgs. n. 276 cit.. Tale articolo, infatti, se da un lato non contempla la conversione del rapporto a tempo indeterminato (come per l’ipotesi di mancanza ab origine del progetto), dall’altro lato pare introdurre l’esclusione di ogni sanzione che non sia il pagamento del doppio della quota dei contributi agevolati.

a) La conversione del rapporto

Quanto al primo aspetto è stato sostenuto che, in mancanza di espressa previsione normativa, l’effetto della conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato potrebbe conseguirsi solo in via giudiziale, mediante sentenza dichiarativa del Giudice, all’uopo adito dal lavoratore con apposita domanda giudiziale. In tal senso peraltro deporrebbe anche la circolare n. 31 del 2004 del Ministero del Lavoro, che ritiene non operativa una siffatta conversione al ricorrere dell’ipotesi prevista dall’art. 55 comma 5 del D.lgs. n. 276 cit.. Tali asserzioni, tuttavia, possono essere forse ulteriormente approfondite.

Occorre premettere che la circolare ministeriale n. 31 cit. sul punto non trae alcuna determinazione perentoria, poiché si limita a richiamare, in via ricognitiva, la mancata previsione da parte dell’art. 55 comma 5 del D.lgs. n. 276 cit., dell’effetto di conversione del rapporto.

Ciò posto, a parere degli scriventi il Legislatore contempla la conversione del rapporto a tempo indeterminato a fronte della violazione di norme imperative di legge, che disciplinano interessi generali e non particolari del rapporto di lavoro, come nelle ipotesi in cui l’atto negoziale sottostante al rapporto sia carente di un requisito essenziale (es. la forma). Ma la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato non richiede necessariamente un’espressa previsione di legge. Tale effetto, infatti, costituisce conseguenza di un giudizio di natura (sempre) dichiarativa, non statico sull’atto, bensì dinamico, perché inerente alle modalità di svolgimento fattuali del rapporto, che dimostri come l’operazione concretamente posta in essere dalle parti sia conforme ad altro schema negoziale rispetto a quello adottato dalle parti, ovvero sia inidonea di per sé a realizzare la finalità tipica del modello legale pattuito. In quest’ultimo caso, pertanto, la causa del contratto stipulato dalle parti viene di fatto vanificata mediante comportamenti volti a realizzare interessi differenti rispetto a quelli tutelati dal tipo negoziale formalmente prescelto.


Tale giudizio
di natura dichiarativa verte sulla qualificazione delle “gravi inadempienze”, in ordine all’adempimento del piano individuale, che l’organo di vigilanza è tenuto a verificare sulla base degli atti istruttori acquisiti nel corso dell’indagine ispettiva. Trattasi pertanto di una verifica discrezionale, perché centrata sull’eventuale svolgimento della formazione teorico-pratica, sull’imputabilità circa l’eventuale mancata formazione e, se del caso, sull’incidenza di tale attività rispetto alla finalità di inserimento o reinserimento del lavoratore. Ove tale verifica dia esito positivo e dimostri che il rapporto si sia svolto con modalità che nascondono o che siano palesemente incompatibili con le finalità del contratto di inserimento, il rapporto medesimo non potrà che essere ricondotto nell’alveo dell’ordinario schema lavorativo, con attribuzione al lavoratore, per il periodo di durata del contratto così convertito, della qualifica corrispondente alle mansioni di fatto espletate.

In altri termini, l’effetto di conversione del rapporto, in quanto previsto per l’ipotesi di mancata redazione per iscritto del contratto e del progetto individuale di inserimento, non potrà non conseguire anche per il caso in cui tale progetto, benché formalmente redatto, sia rimasto in concreto inapplicato, ovvero sia risultato palesemente inidoneo a realizzare la finalità del contratto. E invero sia nella prima come nella seconda ipotesi le fattispecie si presentano specularmente assimilabili, giacché entrambe appaiono non meritevoli di realizzare interessi diversi rispetto a quelli sottesi a un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, al cui paradigma normativo infatti le fattispecie devono essere ricondotte. Tale operazione viene effettuata comunque in base a un giudizio di natura accertativa, esprimibile, tanto in sede giurisdizionale, con sentenza dichiarativa, quanto, e prima ancora, in via amministrativa, mediante atti ispettivi, culminati anch’essi con provvedimenti tipicamente dichiarativi e, se del caso, sanzionatori.

b) Pagamento dei contributi maggiorati del 100%

Si può esaminare ora l’aspetto che riguarda le conseguenze sanzionatorie scaturenti dal grave inadempimento al piano formativo individuale e che sono stabilite dallo stesso art. 55 comma 5 D.lgs. 276 cit. nel pagamento della quota dei contributi agevolati maggiorata del 100 per cento, con l’esclusione “[…] di qualsiasi altra sanzione prevista in caso di omessa contribuzione”.

Sul punto occorre distinguere le modalità che hanno generato l’inadempimento contrattuale.

E invero se tale inadempimento è connotato dal requisito della gravità ed è imputabile ad esclusiva colpa del datore di lavoro, quest’ultimo soggiace alla sanzione della maggiorazione contributiva, con esclusione tuttavia delle sanzioni di cui alla L. n. 388/2000, art. 116 comma 8, e con applicazione invece delle sanzioni amministrative inerenti ai disvalori connessi all’avvenuta conversione del rapporto a tempo indeterminato e alla riqualificazione del livello contrattuale spettante ab origine al lavoratore. E infatti l’inciso finale dell’art. 55 comma 5 D.lgs. n. 276 cit. non esclude l’applicazione di “qualsiasi altra sanzione”. La norma infatti prosegue correlando tale esclusione alle violazioni per omissioni contributive, facendo pertanto salvo il regime sanzionatorio correlato per le differenti ipotesi di illecito amministrativo.


Se invece
l’inadempimento contrattuale risulta contrassegnato sempre da requisito della gravità e non è imputabile esclusivamente al datore di lavoro, pare evidente che non troverà applicazione la sanzione della maggiorazione contributiva, ma solo quella previste dall’art. 116 comma 8, oltre ovviamente alle sanzioni amministrative connesse alla conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e all’errato inquadramento contrattuale del lavoratore.

Nella prima come nella seconda ipotesi, la conversione del rapporto comporta l’adozione della diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124 cit. per le differenze retributive maturate dal lavoratore in costanza del rapporto di lavoro, in ragione del sotto inquadramento contrattuale.


Esame del caso concreto

Alla luce delle complessive considerazioni sopra esposte possiamo ora esaminare il caso di specie, rilevando che l’impresa Beta, esercente attività di lavanderia industriale, ha stipulato in data 10 gennaio 2010 contratto di inserimento della durata di 12 mesi con il lavoratore Tizio, di 30 anni, assegnandogli una qualifica inferiore di due livelli rispetto alla categoria spettante ai lavoratori addetti a mansioni equipollenti. Il contratto conteneva specificamente il piano formativo individuale, con formazione articolata in 16 ore.

Occorre rilevare che nei diciotto mesi precedenti alla stipula del contratto con Tizio l’impresa Beta aveva concluso un altro contratto di inserimento, terminato tuttavia anticipatamente rispetto alla sua naturale scadenza, per dimissioni del lavoratore. Sicché all’atto dell’impiego di Tizio quest’ultimo era l’unico dipendente assunto con contratto di inserimento, concluso il quale, il corrispondente rapporto di lavoro, su proposta della impresa Beta, è stato trasformato a tempo indeterminato.

Nel mese di marzo 2011 il contratto di inserimento di Tizio viene esaminato dal personale ispettivo della DTL.

Cominciando dall’analisi circa il rispetto dei requisiti oggettivi il personale della DTL ha rilevato che il lavoratore Tizio aveva 30 anni e che nel periodo intercorrente da 24 a 27 era stato occupato con contratti di collaborazione a progetto stipulati con molteplici imprese, terminati i quali il predetto era rimasto disoccupato. In base al vaglio di tali elementi e alla circostanza che l’art. 1 del D.lgs. 181/2000 lett. d) come sostituito dall'art. 1 del D.Lgs. n. 297/02 riconosce lo stato di disoccupato anche a coloro che hanno “[…] cessato un'attività di lavoro autonomo” quali le collaborazioni a progetto e “siano alla ricerca di una nuova occupazione da più di 12 mesi […]” gli ispettori hanno correttamente ritenuto sussistente, in capo al lavoratore, la legittimazione alla stipula del contratto di inserimento, ai sensi dell’art. 54 comma 1 lett. b).

Per quanto riguarda la posizione dell’impresa Beta quest’ultima è stata ritenuta idonea, sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo, a concludere un siffatto contratto per i seguenti motivi:

  1. in quanto avente natura di impresa, ai sensi dell’art. 54 comma 2 lett. a) del D.lgs. n. 276 cit.;

  2. in virtù dell’esclusione dalla base di computo di cui all’art. 54 comma 3 del D.lgs. n. 276 cit. del contratto di inserimento stipulato precedentemente a quello di Tizio e terminato ante tempus per dimissioni del dipendente; circostanza quest’ultima comprovata dall’impresa Beta al personale ispettivo mediante puntuale esibizione dell’atto di recesso sottoscritto dal lavoratore medesimo.


Appurata la sussistenza di tali requisiti gli ispettori sono giunti a
sanzionare l'impresa allorché hanno posto lo sguardo sulle modalità di svolgimento del rapporto atteso che, dall’esame degli atti e dalle dichiarazioni acquisite in sede ispettiva è emerso che la prestazione, seppur contenuta in 12 mesi e quindi nell’arco temporale consentito dalla legge (da 9 mesi a 18 mesi), è stata svolta in totale difformità rispetto a quanto stabilito nel piano individuale inserito nel contratto.

Segnatamente gli atti istruttori hanno dimostrato che il lavoratore Tizio aveva personalmente partecipato alla definizione e alla redazione del piano individuale, ma aveva svolto solo due ore delle 16 complessive previste e che tale formazione aveva riguardato esclusivamente la materia dell’organizzazione aziendale, mentre nessuna ora è stata dedicata all’attività di prevenzione antinfortunistica e a quella dei rapporti di lavoro. In tal contesto è risultato che il datore di lavoro non si era prodigato in alcuna maniera nel consentire a Tizio di effettuare l’attività prevista dal piano formativo, essendosi piuttosto interessato a far sì che lo stesso svolgesse un’ordinaria attività di lavoro, sostanzialmente corrispondente a quella prestata dai dipendenti assegnatari di livelli contrattuali posti come obiettivo finale nel contratto di inserimento. La circostanza addotta dall’impresa Beta di non aver potuto effettuare quanto previsto dal piano individuale per mancata emanazione da parte del Ministero del libretto formativo ove poter documentare l’attività de qua è stata correttamente ritenuta irrilevante dagli ispettori. Costoro hanno infatti evidenziato che nulla precludeva alla parte datoriale, nelle more dell’adozione di tale libretto, di effettuare le registrazioni in idonea documentazione aziendale munita di data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c..

A tali considerazioni si aggiunga altresì che il lavoratore Tizio, escusso in occasione dell’ispezione, ha dichiarato di avere accettato la proposta di trasformazione del contratto, non già perché stimolato dalla prospettiva di continuare a lavorare per l’impresa Beta, ma solo in quanto occasione di lavoro da sfruttare per superare il proprio precario stato di disoccupazione.

Tali risultanze sono state poste alla base verbale ispettivo con il quale gli ispettori hanno contestato all'impresa Beta la violazione dell’art. 55 comma 5 per grave inadempimento, imputabile ad esclusiva colpa del datore lavoro, al piano individuale di inserimento. In ragione di tale contestazione gli ispettori hanno applicato il corrispondente regime sanzionatorio, senza procedere tuttavia né alla conversione ab origine del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, né alla conseguente riqualificazione del livello contrattuale di Tizio, né all’adozione della relativa diffida accertativa per le differenze retributive nelle more maturate, né infine all’applicazione delle conseguenti sanzioni amministrative.


In ciò si palesa l’
errore valutativo commesso dal personale della DTL.

Gli ispettori, infatti, una volta giunti alla conclusione di ritenere gravemente violata la finalità del contratto di inserimento, avrebbero dovuto trarre le relative conseguenze, accompagnando la sanzione di cui all’art. 55 comma 5 con i seguenti provvedimenti:

  1. atto diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit.,volta a sanare i disvalori contenuti nel Libro Unico del Lavoro;

  2. atto di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit. a consegnare al lavoratore una lettera di assunzione contenente i dati risultanti dalla conversione del rapporto;

  3. atto di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit. a comunicare al Servizio per l’impiego la corretta assunzione mediante modello UNILAV;

  4. atto di diffida accertativa per le differenze retributive maturate dal lavoratore Tizio, in ragione del sotto inquadramento, durante la costanza del rapporto di lavoro.


NOTE

i
Disciplina specifica è stabilita per le donne. E infatti l’art. 54 comma 1 lett. e) prevede che possono stipulare il contratto di inserimento “le donne di qualsiasi età prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno di 20 punti percentuali a quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi di 10 punti percentuali quello maschile. Le aree di cui al precedente periodo nonché quelle con riferimento alle quali trovano applicazione gli incentivi economici di cui all'articolo 59, comma 3, nel rispetto del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008, sono individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze da adottare entro il 31 dicembre di ogni anno, con riferimento all'anno successivo”. La disposizione è stata prima modificata dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 8, D.L. 13 maggio 2011, n. 70 e poi così sostituita dal comma 3 dell'art. 22, L. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° gennaio 2012, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell'art. 36 della stessa legge n. 183/2011. In attuazione di quanto disposto dalla presente lettera si segnala il D.M. 17 novembre 2005, il D.M. 31 luglio 2007 e il D.M. 13 novembre 2008. Il Ministero del Lavoro è intervenuto in materia con interpello n. 1 del 2007; interpello n. 20 del 2008.

ii Con risposta ad interpello del 24 marzo 2006 n. 25/I/0002702 il Ministero del Lavoro chiarisce che il limite massimo va inteso come 32 anni non compiuti e cioè 31 anni e 364 giorni.

iii Per completezza l’art. 54 comma 3 del D.lgs. n. 276 cit. stabilisce testualmente che “[…] non si computano i lavoratori che si siano dimessi, quelli licenziati per giusta causa e quelli che, al termine del rapporto di lavoro, abbiano rifiutato la proposta di rimanere in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, i contratti risolti nel corso o al termine del periodo di prova, nonché i contratti non trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato in misura pari a quattro contratti […]”. La parte conclusiva di tale disposizione precisa tuttavia che “[…] si considerano mantenuti in servizio i soggetti per i quali il rapporto di lavoro, nel corso del suo svolgimento sia stato trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato”. A sua volta il comma 4 neutralizza la portata applicativa dell’intero comma 3 laddove “[…] nei diciotto mesi precedenti alla assunzione del lavoratore, sia venuto a scadere un solo contratto di inserimento”.

iv L’arco temporale del rapporto può arrivare fino a trentasei mesi qualora siano coinvolti i portatori di handicap psico-fisici o mentali. Dal limite massimo di durata sono esclusi il servizio di leva e quello civile, e quello di astensione per maternità.

v In data 11 febbraio 2004 le parti sociali hanno stipulato un accordo interconfederale avente ad oggetto la disciplina quadro transitoria del contratto di inserimento. L’efficacia di tale disciplina viene fissata fino all’adozione delle previsioni di contrattazione collettiva.

vi In alcuni casi, tale livello minimo è stato notevolmente ampliato dalla contrattazione di settore. Infatti, molti contratti collettivi sottoscritti dopo l’11 febbraio 2004 hanno previsto un maggior numero di ore dedicato alla formazione, modulato, come nel commercio a seconda che si tratti di inserimento - ventiquattro ore - o reinserimento - sedici ore -, o come nel settore dell’energia e del petrolio in base alla durata del contratto (quaranta ore fino a dodici mesi, sessanta ore se superiore).

vii Il libretto dovrà essere emanato d’intesa tra il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e quello dell’Istruzione al termine di un iter procedimentale che vede coinvolte, a vario titolo, la Conferenza Stato-Regioni e le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. In attesa dell’emanazione del provvedimento, le parti sociali hanno ribadito il loro impegno a fornire ai Ministeri competenti il proprio parere puntualizzando che il datore di lavoro deve nelle more effettuare in azienda le registrazioni, anche avvalendosi degli indirizzi individuati, nel frattempo, dai Fondi interprofessionali per la formazione continua.

viii Tale concetto è stato ribadito anche con recente risposta ad interpello n. 14 del 2009.

ix D’altro canto tale aspetto viene colto dallo stesso Ministero del Lavoro che con la circolare n. 31 del 2004 qualifica come indispensabile la predisposizione di un progetto individuale di inserimento.

x Cfr. E. Massi “ I contratti di inserimento dopo i chiarimenti ministeriali” in http://www.dplmodena.it. Sulla stessa linea M. Travaglini - Convegno “Il contratto di inserimento lavorativo”, Perugia 18 Novembre 2011 - Sede dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro.

xi Tale status è stato debitamente comprovato dalla dichiarazione di responsabilità prodotta dal lavoratore al Centro per l'impiego e da apposita attestazione di quest’ultimo circa l’assenza del lavoratore negli elenchi anagrafici per un periodo non inferiore a 12 mesi. Cfr. Ministero del Lavoro, risposta ad interpello 25 maggio 2006, n. 25/SEGR/4570

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