Dolo processuale revocatorio sussistente solo in presenza di un'attività intenzionalmente fraudolenta

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Secondo la Corte di cassazione – sentenza n. 25761 del 15 novembre 2013 – al fine di considerare integrata la fattispecie del dolo processuale revocatorio ai sensi dell'articolo 395 n. 1 del Codice di procedura civile, non è sufficiente la sola violazione dell'obbligo di lealtà e probità previsto dall'articolo 88 dal medesimo codice né, in linea di massima, sono di per sé sufficienti il mendacio, le false allegazioni o le reticenze; ciò che occorre è la sussistenza di “un'attività intenzionalmente fraudolenta che si concretizzi in artifici o raggiri subiettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giudice l'accertamento della verità”.

Inoltre, perchè il silenzio su fatti decisivi possa integrare gli estremi del dolo processuale revocatorio occorre che lo stesso rappresenti “elemento di una macchinazione fraudolenta, che abbia concretamente inciso sul contraddittorio e sul diritto di difesa o, comunque, sull'accertamento della verità”.

Sulla scorta di queste considerazioni è stato respinto il ricorso di un cliente contro la decisione di merito che aveva escluso la sussistenza del dolo processuale revocatorio nella condotta dell'avvocato che aveva presentato atto di appello fuori termine, considerandolo, tuttavia, tra le attività espletate nel ricorso per decreto ingiuntivo dallo stesso depositato ai fini dell'ottenimento del pagamento dei compensi.
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