DURC regolare: non esiste per l’impresa edile un obbligo normativo di iscrizione alla Cassa Edile

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Beta è un’impresa operante nel settore delle costruzioni e occupa 10 dipendenti. Beta, sebbene risulti in regola con i versamenti contributivi e assicurativi effettuati rispettivamente all’INPS e all’INAIL, non risulta iscritta alla Cassa Edile del territorio, alla quale infatti non ha corrisposto alcun onere finanziario. Ciò sul presupposto che l’impresa applica ai propri dipendenti un contratto di categoria differente da quello che prevede l’iscrizione alla Cassa Edile, ma che comunque assicura un trattamento retributivo e previdenziale non inferiore rispetto a quello del settore merceologico di riferimento. Beta, che pertanto non ha aderito al sistema della bilateralità, per conseguire il rilascio del DURC si rivolge alla provinciale Cassa Edile, la quale oppone diniego all’istanza, asserendo che per conseguire il richiesto documento l’impresa è obbligata a iscriversi alla Cassa ed effettuare correttamente i relativi versamenti. È legittimo il diniego della Cassa Edile? Quali conseguenze possono scaturire da tale comportamento?



Premessa

La libertà sindacale costituisce un caposaldo di un ordinamento a base democratica e di uno Stato di diritto che si reputa tale. Tale libertà è garantita e riconosciuta da fonti normative internazionali ed europee oltre che dall’art. 39 della Carta Costituzionale. In via simmetrica il combinato disposto di cui agli artt. 18 e 41 Cost. riconosce e garantisce alla parte datoriale le libertà di associazione e di iniziativa economica. Si tratta di libertà che assumono una concezione non solo positiva, ma anche negativa e che si snoda nella facoltà di non aderire ad alcuna organizzazione sindacale o associazione, attesa altresì la primazia del pluralismo organizzativo. Espressione di tale pluralismo sono gli enti bilaterali, riconosciuti normativamente dall’art. 2 lett. h) del D.lgs. n. 276/03, che risultano composti in via paritetica dai rappresentanti sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro per l’assolvimento di molteplici finalità sintetizzabili nella realizzazione di interessi previdenziali e nella gestione non conflittuale del rapporto di lavoro. Nell’ambito di tali enti, che hanno origine contrattuale e natura privata, sono senz’altro annoverabili, nel settore dell’edilizia, le Casse Edili, che, in quanto titolari di funzioni certificatorie in tema di regolarità contributiva, esercitano una pressione nei confronti delle imprese edili, ponendo dubbi sul rispetto della libertà negoziale.

Parte economica e normativa e parte obbligatoria del contratto collettivo


Prima di analizzare la peculiare posizione della Cassa Edile e delle funzioni ad essa attribuite in tema di rilascio del DURC, pare opportuno richiamare alcuni concetti in merito alla classificazione contrattuale attribuita agli enti bilaterali.

È noto infatti che nell'ambito di un contratto collettivo è possibile distinguere parte economica-normativa e parte obbligatoria. Mentre la prima riguarda la disciplina del rapporto di lavoro in genere e il trattamento retributivo dei lavoratori, la seconda comprende clausole destinate a regolare i rapporti tra le associazioni sindacali partecipanti alla stipulazione dei contratti medesimi. Tali clausole, che creano obblighi e diritti per le parti stipulanti e non già per i singoli lavoratori, hanno per oggetto anche l'iscrizione agli enti bilaterali. A seguito di controversie sulla catalogazione contrattuale degli enti bilaterali, il Ministero del Lavoro ha recepito l’indirizzo giurisprudenziale dominante e, con circolare n. 4 del 2004 ha osservato che una soluzione contraria a quella che ascrive il sistema della bilateralità alla parte normativa ed economica del contratto “[…] risulterebbe infatti in palese contrasto con i principi costituzionali di libertà sindacale, e di libertà sindacale negativa in particolare (di cui all'art. 39 Cost.), oltre che con i principi di diritto comunitario della concorrenza”. Anche l’INPS ha preso atto del mutato indirizzo e lo stesso Ministero ha ribadito il concetto con nota n. 7573 del 21 dicembre 2006. Vi erano dunque tutte le premesse per applicare i medesimi criteri anche alle Casse Edili che, in quanto enti bilaterali, non apparivano meritevoli di trattamenti derogatori.

Sennonché la questione ha preso imprevedibilmente un altro percorso.

Le Casse Edili e il potere di certificazione per il rilascio del DURC


Come rilevato in dottrina le Casse Edili nascono e si sviluppano come enti bilaterali di mutualità e assistenza per i lavoratori del settore delle costruzioni, caratterizzandosi come un’esperienza di cogestione paritetica del rapporto di lavoro. Tradizionalmente esse hanno svolto funzioni di diritto privato e previdenziali, volte al sostegno del reddito, alla formazione e alla rappresentanza associativa delle parti. In altre parole, le Casse, proprio in quanto organismi di matrice contrattuale, aventi pertanto efficacia inter partes, non potrebbero pretendere l’adesione di coloro che non abbiano aderito al contratto che ne sancisce l’istituzione, ostandovi a tal fine il principio di autonomia negoziale, nonché il rispetto della superiore libertà negativa di associazione, garantita e riconosciuta dall’art. 18 Cost.

Su tale assetto si è innestato l'art. 1 comma 1175 della L. n. 296/2006 (c.d. finanziaria del 2007) che ha subordinato la concessione di benefici normativi e contributivi al possesso del documento unico di regolarità contributiva conseguibile “[…] con il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Per quanto concerne invece i contenuti e le modalità di rilascio del DURC, il comma successivo del citato articolo ne ha demandato la disciplina ad apposito decreto ministeriale, invero emanato il 24 ottobre 2007, il quale, tra l’altro, ha attribuito alle Casse Edili specifiche funzioni pubblicistiche di certificazione. L’art. 2 del citato D.M. in particolare ha previsto che “per i datori di lavoro dell'edilizia il DURC ovvero ogni altra certificazione di regolarità contributiva emessa ai fini di cui al presente decreto sono rilasciati oltre che dagli Istituti di cui al comma 1, nei casi previsti dalla legge e previa convenzione con i medesimi Istituti, dalle Casse edili costituite da una o più associazioni dei datori o dei prestatori di lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale che siano, per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Considerato che la locuzione “rispetto degli accordi e contratti collettivi” è senz’altro riferibile alla parte normativa ed economica del contratto collettivo, si è posto il problema di verificare se l’istituzione e il funzionamento delle Casse involgano strictu sensu la disciplina del rapporto di lavoro e siano così pertinenti ai trattamenti economici e normativi del rapporto, ovvero attengano, al pari delle modalità di funzionamento di ogni altro ente bilaterale, alla parte obbligatoria del contratto collettivo, la cui violazione non sarebbe in ogni caso ostativa al rilascio del DURC. Sullo sfondo ci si chiede se le Casse siano o meno obbligate al rilascio del DURC anche nei confronti delle imprese che, benché operanti nel settore edile, si fossero determinate nel senso di non applicare il contratto di categoria istitutivo delle Casse ovvero di non aderire al sistema della bilateralità e conseguentemente di non accantonare le quote presso le Casse Edili.

La prassi amministrativa


Sebbene i principi, la prassi amministrativa e gli indirizzi giurisprudenziali sopra esposti deponevano per una soluzione positiva del quesito, il Ministero del Lavoro ha rivisitato i propri convincimenti in materia e con nota prot. n. 25/I/0015356 del 20.11.2007 ha ritenuto che i versamenti dovuti alle Casse Edili siano pertinenti alla parte retributiva della prestazione di lavoro e conseguentemente che l’istituzione e il funzionamento delle Casse debbano rientrare, non già nella parte obbligatoria del contratto, ma in quella economica e normativa. Con la conseguenza che la mancata applicazione, da parte dell’impresa operante nel settore edile, del contratto di categoria, ovvero l’omessa iscrizione o il mancato versamento delle quote presso le Casse comporti una violazione contrattuale incidente direttamente sul rapporto di lavoro e preclusiva pertanto al rilascio del DURC. Tale prospettazione è stata successivamente ribadita con circolare n. 5 del 2008, nonché e implicitamente con risposta a interpello n. 56 del 2008, in cui è stato affermato per le Imprese l’obbligo di iscrizione alle Casse Edili e ancora con nota prot. n. 25/I/0016914 del 06/11/2009 nella quale è stata espressamente affermato che l’obbligatorietà di iscrizione alla Casse Edile, quale ente che eroga prestazioni attinenti alla parte normativa del contratto collettivo, si basa normativamente sull’art. 90 del D.lgs. n. 81/08 e succ. mod e integr. e sull’art. 118 comma 6 del D.lgs. n. 163 cit.

Considerazioni critiche

Pare agli scriventi che gli sforzi interpretativi per suffragare l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa Edile da parte delle imprese che operano nel settore di riferimento, trovino ostacoli proprio sui capisaldi dell’ordinamento democratico: libertà negativa di associazione e autonomia negoziale.

a) La sentenza n. 129 del 1963 della Corte Costituzionale


Procedendo con ordine, l’assunto generale secondo il quale l’iscrizione alla Cassa Edile e il versamento delle quote rientrerebbero nella parte economica e normativa del contratto e non in quella obbligatoria si pone in distonia con l’orientamento a suo tempo tracciato dal Giudice delle Leggi con sentenza n. 129 del 1963. La pronuncia, nel dichiarare illegittimo il D.P.R. n. 1032/61 di recepimento integrale dei contratti collettivi del settore dell’edilizia ha affermato che l’istituzione delle Casse edili “[…] rientra nell'autonomia delle associazioni sindacali ed ha per effetto di vincolare ad esse tutti i loro iscritti, viceversa è da escludere che di esse si possa richiedere il rispetto da parte dei non associati […]”.

Il Giudice delle Leggi, nell’occasione, ha altresì stabilito che l’istituzione e il funzionamento delle Casse non possono rientrare tra le clausole contrattuali volte ad assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo. Così testualmente la Corte: “Anche a volere ammettere, in ipotesi, che sia consentito [ai contratti collettivi] di disporre speciali forme di assistenza, affidandole ad istituti diversi da quelli considerati dall'art. 38 della Costituzione, non potrebbe mai consentirsi che oneri e prestazioni a tale titolo (proprio perché assicurati attraverso l'opera degli organi e enti di cui alla disposizione ora ricordata) siano da includere dei minimi normativi obbligatori cui ha avuto riguardo il legislatore delegante”.

E allora, se all’epoca, in rispondenza ai principi dell’autonomia negoziale e della libertà di associazione, le Casse non vennero ascritte alla parte normativa del contratto, non si comprende perché, a Costituzione invariata, nell’attuale contesto economico-normativo la soluzione dovrebbe avere un esito differente.

D’altro canto, non si comprende, se non in aperta violazione del principio di uguaglianza, perché la Cassa Edile, quale ente bilaterale, peraltro così espressamente catalogato dal Ministero del Lavoro con circolare n. 5 del 2008, debba ricevere un trattamento differente rispetto a qualsiasi altro ente bilaterale comunemente ricondotto nella parte obbligatoria del contratto collettivo, attesa la sua posizione di soggetto terzo al rapporto di lavoro. Appare pertanto non rispondente a canoni logici la prospettazione che pretende di ricomprendere la Cassa Edile nella parte normativa e retributiva del contratto, quando invero tale ente non riveste neppure la qualifica di parte del rapporto di lavoro.

b) La rilevanza della c.d. categoria negoziale


Né, a sostegno della prospettazione ministeriale, vale richiamare il mutato quadro normativo di riferimento, il quale, con l’art. 90 D.lgs. n. 81/08 e succ. mod. e integr. e con l’art. 118 comma 6 del D.lgs. n. 163/06 e prima ancora con l’art. 36 della L. n. 300/70 avrebbe sancito un vero e proprio obbligo di iscrizione alle Casse Edili per le imprese operanti nel relativo settore. Corollario dell’osservazione è che il criterio sancito dall’art. 2070 comma 1 c.c. possa applicarsi anche oltre gli stretti limiti pubblicistici che ne giustificano la comunque residuale vigenza (es. per ottenere la fiscalizzazione degli oneri sociali), ma precipuamente per conseguire obtorto collo l’adesione a un’associazione di fatto e di diritto privata, qual è per l’appunto la Cassa edile. Il che appare oltremodo in contrasto non solo con l’orientamento dominante della giurisprudenza che considera la c.d. categoria merceologica e la norma del codice di riferimento un reperto storico, ma ancor prima con la libertà negativa di associazione sancita dall’art. 18 della Cost. e non meno essenziale della libertà c.d. positiva, specie dopo un periodo nel quale la politica legislativa di un regime totalitario aveva mirato a inquadrare i fenomeni associativi nell'ambito di strutture pubblicistiche e sotto il controllo dello Stato.

c) Il rispetto della libertà negativa di associazione e del’iniziativa economica privata


Come affermato dalla Corte Costituzionale “la libertà di non associarsi si deve ritenere violata tutte le volte in cui, costringendo gli appartenenti a un gruppo o a una categoria ad associarsi tra di loro, si violi un diritto o una libertà o un principio costituzionalmente garantito […]”. E imporre a un’impresa del settore delle costruzioni di aderire al sistema privato associativo previsto in edilizia potrebbe rappresentare, a sommesso giudizio degli scriventi, una violazione dell’art. 41 Cost. che riconosce e garantisce la libertà di iniziativa economica e che si esprime anche e soprattutto nella facoltà dell’impresa di determinare a propria insindacabile discrezione la scelta del contratto applicabile ai rapporti di lavoro e prima ancora nella formazione delle linee di politica aziendale sottoposte semmai ai soli limiti esterni di utilità generale, invero adeguatamente perseguiti tramite appositi organismi pubblici, ergo INAIL e INPS. Tali Enti sono ontologicamente predisposti all'attuazione di finalità pubbliche, “[…] trascendenti la sfera nella quale opera il fenomeno associativo costituito per la libera determinazione dei privati”.

Le Casse edili sono soggetti che operano in regime di autonomia negoziale e che esprimono la propria ragione nella realizzazione di interessi di natura previdenziale, poiché volti al sostegno del reddito. Tuttavia tali funzioni, per vero ascrivibili in un alveo lato sensu pubblicistico, non determinano una significativa limitazione della libertà di associazione, espressa con l’insorgere in capo alle imprese di costruzioni di un obbligo di iscrizione alla Cassa Edile, che invero è e rimane pur sempre un’associazione di fatto e di diritto privata.

D’altro canto la circostanza che alle Casse siano state riconosciute funzioni di certificazione in sede di rilascio del DURC spiega perché tutte le imprese operanti nel settore delle costruzioni (e perciò anche quelle non aderenti al sistema della bilateralità) siano comunque tenute a informare la Cassa delle lavorazioni in corso, onde consentire a quest’ultima l’acquisizione di una cognizione valida per l’esercizio dell’attività di certificazione. Ma tali attività, che hanno per contenuto la verifica della regolarità contributiva e assicurativa, non richiedono affatto l’instaurazione, tra Cassa Edile e imprese, di un vincolo obbligatorio, la cui genesi resta affidata alla libera determinazione delle parti. Comporterebbe piuttosto un salto logico e normativo asserire che l’esercizio delle funzioni di certificazione rappresenti la fonte di un’obbligazione ex lege avente per contenuto l’adesione all’ente certificatore e la corresponsione a quest’ultimo di oneri finanziari.

L’iscrizione alle Casse edili espressione di obbligazione contrattuale


Le argomentazioni sopra esposte impongono una diversa lettura delle norme sulla base delle quali la prassi ha ritenuto sussistente l’obbligo di iscrizione:

  • art. 36 della L. n. 300 cit. relativo all’obbligo di inclusione nel bando della clausola sociale volta a far sì che il beneficiario o l’appaltatore applichino “[…] nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona”;

  • art. 90 comma 9 lett. b) del D.lsg. n. 81 cit. nella parte in cui prevede che “il committente o il responsabile dei lavori […] chiede […] gli estremi delle denunce dei lavoratori effettuate all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), all'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL) e alle casse edili”;

  • art. 118 comma 6 del D.lgs. n. 163 cit. il quale dispone che “[…] l'affidatario e, per suo tramite, i subappaltatori, trasmettono alla stazione appaltante prima dell'inizio dei lavori la documentazione di avvenuta denunzia agli enti previdenziali, inclusa la Cassa Edile […]”;

  • art. 196 del D.P.R. n. 207/10 secondo il quale “le casse edili, in base all'accordo di livello nazionale […], verificano la regolarità contributiva e assumono i dati, forniti dal direttore dei lavori, relativi all'incidenza della mano d'opera riferita all'esecuzione dei lavori, in relazione al singolo cantiere sede di esecuzione del contratto. Della regolarità contributiva e della congruità della manodopera relativa all'intera prestazione e' dato atto nel documento unico di regolarità contributiva di cui all'articolo 6, comma 3, lettera e)”.

In ordine, l’art. 36 della L. n. 300 cit. non impone alla parte datoriale di disciplinare i rapporti di lavoro sulla base di una predeterminata categoria contrattuale merceologica, ma richiede solo l’applicazione di un criterio perequativo nel senso che venga garantito ai rapporti di lavoro una trattamento normativo e retributivo non dissimile o meglio “non inferiore” rispetto a quello del settore produttivo in cui opera l’impresa. Ma ciò non significa affatto che l’impresa sia tenuta a iscriversi alla Cassa Edile, né tantomeno che debba corrispondere a quest’ultima quote contributive o retributive.

Mutatis mutandis non è letteralmente rinvenibile nell’art. 90 D.lgs. n. 81 cit. un obbligo di iscrizione o di versamento del datore di lavoro operante nel sistema delle costruzioni alla Cassa Edile provinciale, né per altro verso la norma impone l’applicazione del contratto istitutivo dell’ente bilaterale del settore edile. Semmai, e coerentemente alle funzioni certificative riconosciute alla cassa in sede di rilascio del DURC, la disposizione prevede che l’associazione depositaria del documento di regolarità sia correttamente informata sui soggetti che materialmente partecipano alle lavorazioni. Trattasi quindi di un obbligo di informazione rispondente a esigenza di trasparenza contributiva e che è ontologicamente differente rispetto a un obbligo di adesione ad un’associazione di diritto privato.

Stesse considerazioni sono spendibili per l’art. 118 comma 6 del D.lgs. n. 163 cit. ovvero per l’art. 196 D.P.R. n. 207 cit., giacché ritenere che dal contenuto di tali norme possa affermarsi che per le imprese edili sussista un obbligo di adesione alle Casse significa interpolare in via additiva la lettera della legge, atteso che, da un lato l’art. 118 comma 6 del D.lgs. n. 163 cit. contempla per l’affidatario un obbligo, non di iscrizione all’ente bilaterale, ma di inoltro a quest’ultima della comunicazione di inizio lavori. Dall’altro lato l’art. 196 del D.P.R. pone in capo alle Casse il compito di “verificare” la regolarità contributiva e di assumere informazioni al riguardo e francamente non si comprende come si possa commutare o travisare un obbligo di verifica o di informazione, con un obbligo di iscrizione all’associazione.

In estrema sintesi l’esegesi per cui tutte le imprese che operano in edilizia sono obbligate ad iscriversi alle Casse edili e versare a queste ultime i relativi contributivi, sebbene propugnata con comprensibile fervore dalle Casse e con risolutezza dal Ministero del lavoro, non appare ragionevolmente sostenibile nell’attuale contesto costituzionale e normativo di riferimento, il quale, invece, contempla in capo alle imprese solamente un obbligo di informazione funzionale all’esercizio dei poteri di verifica e certificazione assegnati alle Casse.

Il caso concreto


Venendo al caso concreto, nei fatti risulta che Beta è un’impresa operante nel settore delle costruzioni e che occupa 10 dipendenti. Beta, sebbene risulti in regola con i versamenti contributivi e assicurativi effettuati rispettivamente all’INPS e all’INAIL, non risulta iscritta alla Cassa Edile del territorio, alla quale infatti non ha corrisposto alcun onere finanziario. Ciò sul presupposto che l’impresa applica ai propri dipendenti un contratto di categoria differente da quello che prevede l’iscrizione alla Cassa Edile, ma che comunque assicura un trattamento retributivo e previdenziale non inferiore rispetto a quello del settore merceologico di riferimento.

Sulla base di tali premesse Beta per conseguire il rilascio del DURC si rivolge alla provinciale Cassa Edile, la quale ha opposto diniego all’istanza, asserendo che per conseguire il richiesto documento l’impresa sarebbe obbligata a iscriversi alla Cassa ed effettuare correttamente i relativi versamenti.

Le considerazioni della Cassa, per quanto basate su circolari ministeriali, che richiamano fonti normative, non pare che abbiano meritevole pregio perché come testé esposte l’obbligo di iscrizione non è espressamente contemplato da alcuna fonte normativa, che al contrario prevede in capo alle imprese o ai professionisti di settore incombenze di carattere informativo necessarie al più per l’esercizio delle funzioni certificatorie assegnate alle casse per il rilascio del DURC. Ciò, d’altronde, in coerenza con la natura di ente bilaterale delle Casse Edili suscettibili pertanto di essere ascritte alla parte obbligatoria del contratto collettivo, la cui violazione non è comunque ostativa al rilascio del DURC.

In sostanza considerato che Beta garantisce ai propri dipendenti trattamenti retributivi e previdenziali omogenei a quelli previsti dal CCNL del settore edile e che l’impresa medesima risulta comunque in regola con INPS e INAIL si deve trarre la conclusione che l’istanza volta al conseguimento del DURC non possa che trovare accoglimento e che il diniego opposto dalla Cassa si appaleserebbe illegittimo.


NOTE

i Nell’ambito delle fonti internazionali vengono in rilievo le convenzioni nn. 87 e 98 dell’OIL ratificate in Italia con L. n. 367/58. A livello comunitario si cita la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione, che attualmente ha lo stesso valore giuridico dei Trattati, riconosce all’art. II – 12 la libertà sindacale e all’art. II-28 il diritto di negoziazione collettiva e lo sciopero.

ii Ad esempio promuovono “buone prassi”, sviluppano progetti e ricerche, stabiliscono commissioni e tavoli di confronto sulle

problematiche del mondo del lavoro e altro ancora.

iii La Suprema Corte con sentenza n. 2601/86 ha osservato che gli enti bilaterali costituiscono enti di fatto, assimilabili ad associazioni riconosciute, dotati di autonomia e titolari di rapporti giuridici propri non sovrapponibili con quelli dei soggetti fondatori, dei datori di lavoro ovvero dei lavoratori.

iv Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 5625/00.

v Sul tema si è sviluppato un contenzioso in cui l’INPS (cfr. circolare n. Circ. Inps 131 del 02.05.1994) è risultata soccombente, cfr. Cass. Civ. n. 6530/01.

vi Cfr. Cass. Civ. n. 6530/2001; Cass. Civ. n. 8476/2003; Cass. Civ. n. 24205/2004, Cass. Civ. n. 1530/2005.

vii La posizione è stata espressa in merito all’interpretazione dell’art. 10 L. 30/2003 che, per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, subordina il riconoscimento di benefici normativi e contributivi all'integrale rispetto degli accordi e contratti citati, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

viii Cfr. circolare INPS n. 74 del 2005.

ix Cfr. M. Ballistreri, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse S.r.l. 2005, pp. 104-105.

x L’articolo 1, commi 1175, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, stabilisce che “a decorrere dal 1 luglio 2007, i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Il successivo comma 1176 del medesimo art. 1 sancisce che “con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentiti gli istituti previdenziali interessati e le parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, sono definite le modalità di rilascio, i contenuti analitici del documento unico di regolarità contributiva di cui al comma 1175, nonché le tipologie di pregresse irregolarità di natura previdenziale ed in materia di tutela delle condizioni di lavoro da non considerare ostative al rilascio del documento medesimo”.

xi Cfr. caso pratico de “L'ispezione del lavoro”, del 1° febbraio 2013, “Anche un'impresa non artigiana è libera di applicare il CCNL previsto per il settore artigiani, ma ...”, pubblicato su questa rivista telematica.

xii Cfr. Corte Cost. sentenza. n. 69 del 1962 e successivamente sentenza n. 40 del 1982.

xiii Cfr. Corte Cost. sentenza n. 40 cit.

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