I contratti pendenti nel concordato preventivo con continuità aziendale

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I contratti pendenti nel concordato preventivo con continuità aziendale

Prima dell’introduzione dell’art. 169 bis l.fall. (ad opera dell’art. 33, comma 1, lett. d, D.L. 22 giugno 2012, n. 83 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) mancava del tutto nel nostro ordinamento un’apposita disciplina legislativa sui contratti pendenti al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo.

La conclusione che comunemente se ne traeva, sia in dottrina che in giurisprudenza, era che la materia rimanesse in toto regolata dalle norme di diritto comune sui contratti, non potendo trovare applicazione in via analogica la disciplina dettata per il fallimento dagli artt. 72 ss. l. fall.

Ciò essenzialmente per due ragioni, difficilmente confutabili:

  • l’una poggiando sul dato letterale del mancato richiamo degli artt. 72 ss. da parte dell’art. 169 l.fall.,
  • l’altra sulla differente natura e struttura delle due procedure concorsuali, essendo caratterizzato il fallimento, a differenza del concordato preventivo, dall’immediato spossessamento del debitore.

Disciplina fallimentare inapplicabile

A seguito della Riforma delle procedure concorsuali, e soprattutto sin dalla prima novella (rappresentata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 convertito dalla L. del. 14 maggio 2005, n. 80) del concordato preventivo (che da procedura meramente liquidatoria, alla pari del fallimento, si convertiva man mano in strumento per garantire, in via preferenziale, la continuità aziendale), le ragioni dell’inapplicabilità a quest’ultimo istituto della disciplina fallimentare dettata dagli artt. 72 ss. l.fall. sono divenute ancora più evidenti, sol che si pensi alla non perfetta coincidenza dei loro presupposti genetici (stato di crisi-insolvenza) e delle loro precipue finalità (liquidazione-continuità produttiva).

La regola dettata dall’art. 72 l.fall., secondo cui, non appena dichiarato il fallimento, il rapporto contrattuale pendente rimane “sospeso” sino a quando il curatore non eserciti la facoltà potestativa di sciogliersi dallo stesso (ipotesi normale, trattandosi di procedura liquidatoria) ovvero, debitamente autorizzato, non dichiari di volervi subentrare “in luogo del fallito” (ipotesi marginale, stante sempre la natura liquidatoria del fallimento), non a caso viene completamente ribaltata nel caso di esercizio provvisorio dell’impresa ex art. 104 l.fall., norma che pone il contrario principio secondo cui, “salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli”, i contratti pendenti proseguono ed i relativi crediti, sorti nel corso dell’esercizio provvisorio, sono soddisfatti in pre-deduzione.

Contratti di durata, la Cassazione interviene sui crediti dei contraenti in bonis

Si pongono a questo punto, specie per i contratti di durata, delicati problemi di coordinamento delle varie norme dettate in tema di trattamento da riservare ai crediti dei contraenti in bonis; sul tema è intervenuta, non molto tempo addietro, una fondamentale pronunzia della Cassazione, secondo cui, al termine dell’esercizio provvisorio, rivivono le regole generali dettate dagli artt. 72 ss. l.fall. ed in particolare, per i rapporti contrattuali ad esecuzione continuata o periodica che siano destinati a proseguire, il principio posto dall’art. 74 l.fall., in base al quale, se il curatore subentra nel contratto, “deve pagare integralmente anche il prezzo delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati”. Sempre secondo la S.C., nel caso in cui la procedura opti invece per lo scioglimento del contratto, i crediti maturati dai fornitori anteriormente alla dichiarazione di fallimento subiscono la falcidia del concorso, stante il noto principio della scindibilità delle prestazioni reciproche, che vanno considerate “a coppie”: in tale ottica il particolare trattamento di favore che l’art. 74 l.fall. riserva al contraente in bonis non contraddice il principio di diritto sopra affermato, ma “è frutto del contemperamento, operato equitativamente dalla legge, fra gli interessi della massa e quelli del terzo contraente della procedura fallimentare”.

Soluzione concordataria: problemi di compatibilità?

Ciò posto, stante la pacifica inapplicabilità della disciplina fallimentare sopra richiamata al concordato preventivo, nel quale vigevano in toto, sino alla novella del 2012, le regole comuni sui contratti, si ponevano nella pratica delicati problemi di compatibilità della soluzione concordataria che si intendeva proporre ai creditori con tutta quella serie di rapporti giuridici che l’imprenditore, specie nel periodo immediatamente precedente all’emersione dello stato di crisi o addirittura di insolvenza, aveva (o era stato spesso costretto) a porre in essere.

Il caso tipico era quello dell’affitto dell’azienda in crisi (magari con l’immancabile diritto di prelazione), intervenuto sovente a condizioni non particolarmente vantaggiose per l’imprenditore in crisi e comunque fortemente condizionante per le prospettive di sua futura cessione (anche a fini di continuazione dell’attività produttiva), ma il discorso può essere facilmente esteso ai vari contratti stipulati con fornitori e clienti a condizioni deteriori. Dal momento che gli stessi rapporti contrattuali naturalmente “continuavano” anche dopo la presentazione della domanda concordataria, essendo ancora vantaggiosi per il contraente in bonis (che altrimenti si sarebbe già attivato per la loro risoluzione) mentre l’imprenditore in crisi non aveva alcuna valida ragione giuridica per sciogliersi dal vincolo contrattuale, appare a questo punto evidente quale sia stato lo scopo divisato dal novellatore del 2012 nell’introdurre nella disciplina del concordato preventivo una prima, per altro limitata, regolamentazione legale dei contratti pendenti, al fine di incentivare ulteriormente il ricorso alle soluzioni pattizie delle crisi di impresa.


Una prima regolamentazione legale dei contratti pendenti

È nato così l’art. 169 bis l.fall., che nella sua originaria formulazione (quella appunto recata dall’art. 33, comma 1, lett d, D.L. n. 83/2012, così come modificato in sede di conversione) prevedeva per il debitore la facoltà di richiedere al Tribunale, con il ricorso di cui all’art. 161 l.fall. (anche nella forma della domanda “con riserva” di cui al sesto comma) o successivamente al Giudice delegato, dopo il decreto di ammissione, l’autorizzazione “a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso” ovvero a sospenderne gli effetti per un tempo determinato (60 gg, prorogabili una sola volta); prevedeva, inoltre, in ipotesi di scioglimento del contratto, che:

  • il contraente in bonis avesse diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno patito (credito avente natura concorsuale);
  • lo scioglimento del contratto non si estendesse alla clausola compromissoria;
  • la disciplina non trovasse applicazione ai rapporti di lavoro subordinato, al contratto preliminare di vendita di immobile da adibire ad abitazione principale (art. 72, comma 8, l.fall.), ai finanziamenti destinati ad uno specifico affare (art. 72 ter l.fall.) ed al contratto di locazione di immobili in cui il debitore fosse locatore (art. 80, comma 1, l.fall.).

Successive modifiche e altre due disposizioni

Le successive modifiche apportate alla norma per effetto del recente D.L. n. 83/2015, nonché dalla legge di conversione n. 132/2015, non ne hanno per nulla alterato il complessivo impianto, ma sono valse soprattutto a chiarire qualche dubbio interpretativo che si era affacciato in giurisprudenza. Ma non è stata questa l’unica norma dettata in tema dal legislatore del 2012, che per il solo concordato preventivo con continuità aziendale ha emanato altre due disposizioni tendenti ad incentivare il ricorso a tale particolare tipo di procedura, cioè l’art. 186 bis, comma 3, l.fall., secondo cui (salvo ovviamente quanto previsto a favore dell’imprendi- tore in crisi dal precedente art. 169 bis) i contratti pendenti, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura, essendo inefficaci eventuali patti contrari (principi simili a quelli posti per il fallimento dall’art. 72, commi 5 e 6, l.fall) e l’art. 182 quinquies, comma 4 (ora 5 a seguito dell’ulteriore modifica di cui al D.L. n. 83/2015), l.fall. sul pagamento in via preferenziale dei c.d. fornitori “strategici”.

In base a quest’ultima norma, il debitore, sempre in sede di domanda (anche con riserva) di concordato preventivo, può chiedere al Tribunale di essere autorizzato a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, qualora un attestatore qualificato ex art. 67 l.fall. asseveri che tali prestazioni siano essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

L’introduzione delle sopra menzionate norme, tendenti a disciplinare alcuni aspetti della più complessa problematica sui contratti pendenti nel concordato preventivo, corrobora ulteriormente l’opinione, largamente maggioritaria, secondo cui non vi è alcuna possibilità di applicazione analogica delle norme dettate in materia, per il solo fallimento, dagli artt. 72 ss. l.fall.

Così delineato l’attuale panorama normativo, anche alla luce delle ulteriori modifiche introdotte alla disciplina concorsuale dal recente D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modifiche dalla L. 6 agosto 2015, n. 132 (che però hanno soltanto marginalmente interessato gli artt. 169 bis e 182 quinques l.fall.), appare opportuno soffermarsi brevemente sul disposto dell’art. 74 l.fall., al fine di sgombrare definitivamente il campo da possibili equivoci e tentazioni interpretative.

Approfondiamo il disposto dell'art. 74 legge fallimentare

Come è noto, in sede di Riforma della disciplina fallimentare l’originaria latitudine dell’art. 74 l.fall., che pure tanti problemi applicativi aveva posto, specie in riferimento alla sua applicabilità alle cc.dd. procedure concorsuali minori, è stata estesa dai soli contratti nominati di “vendite a consegne ripartite” e “somministrazione” a tutti i “contratti ad esecuzione continuata o periodica”, cioè lato sensu “di durata” e con essa la deroga al regime di concorsualità dei crediti maturati dal contraente in bonis anteriormente all’apertura della procedura, che vanno soddisfatti in prededuzione nell’ipotesi in cui il curatore subentri nel contratto pendente.

Ma se nel previgente sistema la deroga al principio della par condicio creditorum nel caso di continuazione del rapporto contrattuale con il fallimento, variamente ma mai troppo persuasivamente giustificata sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, riguardava tutto sommato una serie assai limitata di ipotesi contrattuali, la sua estensione a tutti i contratti pendenti di durata pone ora delicate questioni di coordinamento tra norme, oltre a dover forse suggerire un ripensamento della tradizionale impostazione sulla scindibilità delle prestazioni in siffatti contratti.

Contratti di durata, accanto alla somministrazione, sono infatti, tanto per citarne alcuni, anche la locazione, il rapporto di lavoro, tutti i rapporti di collaborazione continuativa e coordinata con l’impresa (tra cui quello di agenzia, riguardante proprio il caso di specie qui esaminato), il deposito, il comodato, il conto corrente, il mandato e così via, sicché, di fronte a tale, così vasta, platea di contraenti in bonis con l’imprenditore fallito, si pone il problema di valutare, anche sul piano dei principi, le ragioni di una così rilevante deroga al canone della concorsualità.

Se infatti l’attuale disposto di cui all’art. 74 l.fall. si pone come eccezione alla regola della par condicio creditorum, diventa poi difficile spiegare, anche sul piano puramente teorico, la ratio di talune “eccezioni all’eccezione”, come quella prevista dallo stesso legislatore della Riforma al successivo art. 78, comma 3, l.fall., secondo cui se il curatore del fallimento del mandante subentra nel rapporto pendente, il credito del mandatario in bonis diventa prededucibile soltanto per l’attività compiuta dopo il fallimento.

Ma le perplessità interpretative aumentano ulteriormente se si considera proprio la sorte nel concordato preventivo di quegli stessi crediti anteriori così “benevolmente” trattati dall’odierna formulazione dell’art. 74 l.fall., di cui per altro appare tuttora improponibile l’estensione analogica, tanto più alla luce dell’introduzione nel nostro ordinamento del quinto comma dell’art. 182 quinquies l.fall., che non avrebbe alcuna ragion d’essere se si dovesse accedere all’opposta opinione.

Contratti di durata con fallimento o con contratto preventivo, possibile una scelta equitativa del legislatore?

Non potendo quindi il precetto di cui all’art. 74 l.fall. assurgere a canone generale in ambito concorsuale, né potendosi “liquidare” lo stesso come norma “eccentrica” e di limitata portata, rimane il problema di trovare un valido fondamento logico, sistematico e soprattutto equitativo alla scelta del legislatore di trattare così diversamente la sorte dei crediti dei contraenti in bonis nei contratti di durata che continuino con il fallimento rispetto a quelli che continuino con il concordato preventivo, tanto più nell’ipotesi in cui quest’ultimo preveda la continuazione dell’attività produttiva.
 Alla fine, se si dovesse (come è probabile) giungere alla conclusione dell’irragionevolezza, nonché della sostanziale iniquità, di tale differenziazione normativa, il legislatore dovrebbe lealmente prenderne atto e provvedere di conseguenza, magari in una delle tante “revisioni periodiche” della disciplina concorsuale.

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