Imprese edili e licenziamenti collettivi: si applicano le procedure di mobilità?

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La disciplina dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è contenuta nella L. n. 223/91.

Elementi caratterizzanti dei licenziamenti collettivi sono:

1. la dimensione occupazionale dell’impresa, nel senso che questa deve avere una soglia pari o superiore a 15 dipendenti;
2. il numero dei licenziamenti, giacché questi devono essere pari o superiori a cinque dipendenti;
3. l’arco temporale, di regola di 120 giorni, entro cui debbono essere effettuati i licenziamenti.

Tali elementi distinguono la fattispecie dei licenziamenti collettivi da quella dei licenziamenti individuali plurimi, intimati per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della L. n. 604/96, in cui non devono essere seguite le procedure descritte dagli art. 4 e 5 della L. n. 223 cit..

La legge 223/91 contempla due ipotesi di licenziamento per riduzione del personale, previste rispettivamente dall’art. 4 e dall’art 24.

Mentre la prima disposizione riguarda le sole imprese ammesse a fruire della CIGS, la seconda norma si applica a tutte le imprese con più di 15 dipendenti.

In ogni caso, ambedue le ipotesi devono seguire la medesima procedura di cui all’art 4 e 5. La ratio della L. n. 223 cit., nella parte in cui introduce un’articolata procedura in caso di licenziamenti collettivi, è quella di consentire la verifica di criteri di scelta obiettivi, che abbiano condotto all’individuazione dei lavoratori da licenziare, escludendo così ogni sospetto di arbitrarietà da parte datoriale.

Tale procedura si articola in una fase sindacale e in una fase amministrativa, tra loro collegate.

La violazione della procedura comporta l’illegittimità del licenziamento, che fino all’adozione della L. n. 92/12 (c.d. Legge Fornero) era sanzionato dalla Giurisprudenza con l’obbligo della reintegra del lavoratore.

La L. n. 92 cit. ha mitigato tale regime sanzionatorio, disponendo la reintegra solo per i licenziamenti collettivi irrogati in violazione della forma scritta e dei criteri di scelta dei lavoratori, disponendo invece il solo indennizzo qualora la violazione attenga alle regole procedurali seguite.

Il D.lgs. n. 23/15 fa un ulteriore passo, arretrando le tutele, perché prevede la reintegra del lavoratore solo per l’ipotesi di licenziamento intimato in forma orale, mentre per tutte le altre ipotesi (criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e/o delle disposizioni relative alla procedura di intimazione dei licenziamenti) viene prevista l’erogazione di una indennità.

In tale quadro, vi è un settore comunque avulso dall’ambito di applicazione delle procedure di cui alla L. n. 223 cit.: l’Edilizia.

Infatti l’art. 24, comma 4, della L. n. 223 cit. esclude dalla propria sfera operativa, oltre ai casi di “scadenza dei rapporti di lavoro a termine” e di “attività stagionali o saltuarie”,“le ipotesi di fine lavoro nelle costruzioni edili”. La disposizione si spiega con il fatto che nelle eccezioni previste dal comma è esclusa ogni possibilità di scelta da parte del datore di lavoro e, quindi, ogni possibilità di favorire o penalizzare l’uno o l’altro lavoratore. Con la conseguenza che il datore di lavoro, ove intenda procedere a licenziare più di cinque dipendenti nell’arco di centoventi giorni, non è tenuto a seguire le procedure di cui agli art. 4 e 5 della L. n. 223 cit..

La Giurisprudenza è pacificamente orientata nel ritenere che l’espressione “fine lavoro nelle costruzioni edili” non consista nella cessazione dell’attività dell’impresa o nel compimento dell’opera, piuttosto postuli “l’esaurimento di una singola fase di lavoro, che abbia richiesto specifiche professionalità” (Cass. civ. Sez. lavoro, 28/11/2014, n. 25349). Pertanto, occorre che tali lavori non siano in corso di graduale esaurimento, ma che risultino effettivamente conclusi (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 06/02/2008, n. 2782).

Tale circostanza, tuttavia, è condizione necessaria, ma non sufficiente, per evitare l’applicazione dell’art. 4 della L. n. 223 cit..

All’uopo occorre che l’ultimazione dei lavori sia accompagnata dall’impossibilità, da parte del datore di lavoro, di utilizzare i lavoratori medesimi in altre mansioni compatibili, con riferimento alla complessità dell’impresa e alla generalità dei cantieri nei quali è dislocata la relativa attività (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 22/10/2009, n. 22417; Cass. civ. Sez. lavoro, 23/01/2003, n. 1008).

Il principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 4349 del 4 marzo 2015, massimata in www.edotto.com, rubrica “Edicola”, sezione “Lavoro”.

Al datore di lavoro spetta il compito di provare la non utilizzabilità dei lavoratori nei posti predetti, mentre incombe sul lavoratore l’obbligo di indicare altri posti in cui potere essere collocato.

Il mancato assolvimento dell’onere probatorio, in ordine al quale anche il lavoratore è tenuto a dare il suo contributo, comporta la declaratoria di illegittimità del licenziamento. Tuttavia, la mancata applicazione dell’art. 4, della L. n. 223 cit., per effetto della disciplina introdotta dal D.lgs. n. 23/15, viene sanzionata solo con l’erogazione di una sanzione di natura indennitaria.
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