La gratuità della prestazione è accettata se c’è il fine della solidarietà. Al datore l’onere della prova

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Nei rapporti di coppia si deve riconoscere al coniuge o al convivente il lavoro prestato nell’azienda durante il periodo di durata della relazione, soprattutto quando la relazione sentimentale si è conclusa del tutto. In altri termini, i giudici hanno riconosciuto che, finito il rapporto personale, una parte può rivendicare il trattamento economico di dipendente per aver collaborato per tanti anni nell’impresa dell’altro. Questo è il principio espresso dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 1833/209, con la quale viene accolto il ricorso della ex partner di un imprenditore. Il nostro ordinamento prevede che quella dell’onerosità sia la regola che deve sottostare ad ogni tipo di rapporto di lavoro, mentre la gratuità rappresenta l'eccezione, nella quale si esclude la causa tipica di scambio tra lavoro e retribuzione. Molte volte però sembra prevalere la presunzione di gratuità del lavoro coniugale che può essere esteso anche alla convivenza “more uxorio”. Ma, in questo secondo caso è necessario che il datore di lavoro dimostri che la convivenza (per cui si richiede la gratuità del lavoro) sia analoga a quella legittima sia per quanto riguarda il piano spirituale della solidarietà personale sia per quanto riguarda il versante economico. In altri termini, si deve dimostrare la condivisione dello stesso tenore di vita per poter vedere escluso il pagamento di un compenso. Come dimostrato nel caso di specie, invece, la mancanza di continuità nella convivenza tra i due soggetti, che veniva spesso interrotta e soprattutto il difetto di condivisione di un tenore di vita comune in relazione ai redditi dell'attività commerciale, fanno presupporre che il rapporto intercorrente tra i due ex partner possa essere ricondotto nella fattispecie del rapporto di lavoro subordinato. Quindi, proprio il fatto che non è stata provata una comunanza economica e spirituale, simile a quella che si instaura tra i coniugi, fa sì che venga riconosciuto alla donna un conguaglio per le mansioni svolte nell’azienda.

Roberta Moscioni

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  • Il Sole 24 Ore, p. 6 – Il lavoro del partner va retribuito – a cura di Bussino

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