L’appalto è genuino anche se le direttive vengono impartite dal committente

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Alfa concede in appalto a Gamma i lavori di manutenzione e di assistenza dei sistemi operativi e multimediali del call center, quest’ultimo ubicato nei locali di Alfa. Per l’esecuzione dell’appalto Gamma impiega personale specializzato, il quale espleta la propria prestazione di lavoro nei locali di Gamma “gomito a gomito” con i dipendenti dell’appaltante. I dipendenti di Gamma reperiscono in loco tutte le attrezzature occorrenti per l’attività dedotta in contratto, che viene ordinariamente eseguita sotto l’osservanza del committente; quest’ultimo, in non poche occasioni, impartisce disposizioni per la corretta esecuzione dell’appalto sia al proprio personale che a quello dell’appaltatore. Prima della conclusione dei lavori Alfa viene sottoposta a verifica ispettiva. I dipendenti di Gamma riferiscono agli ispettori le circostanze come sopra esposte. Gli ispettori appurano che i dipendenti di Gamma non sono muniti di apposite tessere identificative previste per i lavori in appalto. In ogni caso dagli atti emerge che i dipendenti di Gamma sono in possesso di specifiche professionalità acquisite tramite corsi professionali e di aggiornamento curati a spese del proprio datore di lavoro. Gli ispettori accertano che l’attività di Gamma si basa essenzialmente sull’acquisizione di conoscenze preordinate all’aggiornamento tecnologico dei servizi informatici da fornire ai call center. In base a tali elementi gli ispettori censurano come non genuino il contratto di appalto. Ciò sulla base dei seguenti aspetti: a) Gamma non sarebbe titolare di una reale organizzazione di lavoro; b) la promiscuità delle prestazioni di lavoro rese dai dipendenti di Alfa e Gamma, l’assenza di tessere di riconoscimento e l’ingerenza dell’appaltante sulle modalità di svolgimento del servizio dedotto in contratto sarebbero tutte circostanze che prefigurerebbero una disarticolazione nella titolarità dei rapporti di lavoro. Conseguentemente gli ispettori adottano verbale con cui dichiarano che tra Alfa e Gamma ricorre somministrazione fraudolenta di manodopera e per l’effetto accollano tutti i rapporti di lavoro in capo all’utilizzatore, adottando altresì i relativi provvedimenti sanzionatori. È corretto l’operato degli ispettori?



Premessa

La L. n. 1369/60, che regolava la materia dell'interposizione di manodopera, poneva un generale divieto di interposizione nelle prestazioni di lavoro e degli appalti. All’uopo l’art. 1 contemplava una presunzione di illegittimità dell'appalto qualora per l'esecuzione del contratto fossero stati utilizzati capitali, attrezzature e strumentazioni in genere forniti dall'appaltante. Invero, in un sistema industriale contrassegnato da processi produttivi di stampo “fordista”, ad elevato apporto di risorse materiali, il discrimine tra appalto genuino e somministrazione di manodopera passava essenzialmente sull’individuazione di chi fosse il titolare dei capitali e dei macchinari impiegati nel processo produttivo, mentre un aspetto secondario, se non proprio marginale, assumeva l’apporto delle professionalità presenti in azienda.

Con l’obiettivo di modernizzare la disciplina inerente al decentramento produttivo e di renderla più aderente a un mercato del lavoro in continua evoluzione, il D.lgs. n. 276/03 ha abrogato la L. n. 1369 cit. e ha conseguentemente tracciato i confini dell’appalto genuino, depurandolo delle tradizionali diffidenze cui era circondata la frammentazione delle attività imprenditoriali. Il mutamento ha conferito rilevanza a un concetto di impresa smaterializzato, in cui viene considerato genuino anche l’appalto ad alta intensità di lavoro, in cui rileva non tanto la titolarità del capitale materiale, ma l’effettivo esercizio del potere direttivo e di controllo.

In tale contesto normativo si inserisce il difficile compito del personale ispettivo, impegnato, nel quadro delle direttive fornite dal Ministero, a recidere il nodo gordiano che avvolge le lavorazioni contrassegnate da un impiego promiscuo dei dipendenti del committente e di quelli dell’appaltatore, tenuti nell’esecuzione dell’appalto a utilizzare locali, attrezzature e macchinari di lavoro dell’appaltante.

L’abrogazione della L. n. 1369/60 e il regime sanzionatorio

L’abrogazione disposta dall’art. 85 del D.lgs. n. 276 cit. della L. n. 1369 cit. e la nuova disciplina dettata in materia degli appalti e di somministrazione di manodopera hanno rovesciato l'impostazione di disfavore verso i fenomeni interpositori, ma non hanno introdotto mutamenti di rilievo per quanto riguarda il regime sanzionatorio dell’illecito.

Infatti, posponendo l’illustrazione dei criteri distintivi dell’appalto genuino al sistema delle sanzioni, si rileva sul piano penale che la fattispecie abrogata puniva, con ammenda proporzionale al numero dei lavoratori e alle giornate lavorative, sia il committente sia l'appaltatore che avessero fatto ricorso all'esecuzione di prestazioni lavorative mediante impiego di manodopera assunta dall'appaltatore, ma operante alle dipendenze del committente. La fattispecie introdotta dall’art. 18 comma 5 bis del D.lgs. n. 276 del 2003 punisce, sempre con ammenda proporzionale al numero dei lavoratori e alle giornate lavorative, sia chiunque eserciti attività non autorizzate di somministrazione di lavoro, sia l'utilizzatore che ricorra alla somministrazione di lavoro fornita da soggetti non abilitati o al di fuori dei casi previsti dalla legge. Ciò significa che le condotte vietate di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro di cui agli abrogati artt. 1 e 2 della L. n. 1369 cit. non sono divenute lecite, ma sono tuttora riconducibili nella nuova fattispecie criminosa di cui all'art. 18 D.lgs. n. 276 del 2003. La giurisprudenza infatti ha osservato che tra le due fattispecie deve ravvisarsi un’ipotesi di continuità normativa e segnatamente "abrogatio sine abolitione criminis" ex art. 2 c.p.., giacché “[…] la fattispecie di cui all'art. 1 della L. n. 1369 del 1960 […] resta punibile ai sensi dell'art. 18 d.lgs. cit., in quanto qualificabile come somministrazione di manodopera esercitata da soggetto non abilitato o fuori dai casi consentiti”.

Sul piano civile l’art. 29 comma 3 bis del D.lgs. n. 276 cit., innovando rispetto al sistema previgente, che sanzionava l’appalto non genuino con il meccanismo dell’accollo automatico del lavoratore impiegato nell’appalto alle dipendenze dell’effettivo utilizzatore, ha mitigato il relativo regime sanzionatorio, nel senso che la costituzione di un tale rapporto di lavoro è stata rimessa alla decisione del lavoratore eventualmente da far valere in via giudiziale.

Sennonché l’accollo ex lege del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, espunto normativamente dal D.lgs. n. 276 cit., è stato considerato tuttora vigente dal Ministero del Lavoro nell’ipotesi in cui venga accertato un appalto nullo perché fraudolento e cioè concluso con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore. Secondo il Ministero la nullità contemplata dall’art. 21 comma 4 del D.lgs. n. 276 cit. per l’ipotesi di mancanza di forma scritta del contratto di somministrazione costituisce categoria sostanzialmente assimilabile alla nullità del contratto concluso in frode alla legge, con la conseguenza che entrambe le fattispecie dovrebbero essere sottoposte al medesimo regime sanzionatorio consistente nella costituzione ex lege del rapporto di lavoro del dipendente impiegato nello pseudo appalto in capo all’utilizzatore.

Gli scriventi esprimono forti perplessità nei confronti di tale assunto perché sottende un’operazione estensiva, anzi, analogica, condotta su una fattispecie sanzionatoria che invero richiede un'applicazione strettamente aderente al testo normativo. In altri termini nell’ipotesi in cui il Legislatore ha disposto un simile effetto ha operato espressamente in tal senso. Diversamente l’art. 28 del D.lgs. n. 276 cit. relativo al trattamento sanzionatorio della somministrazione fraudolenta non contiene alcun accenno o rinvio all’ipotesi di cui all’art. 21 comma 4 del D.lgs. n. 276 cit: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.


I criteri identificativi dell’appalto genuino

Venendo ai criteri che identificano l’appalto genuino occorre muovere dall’art. 29 comma 1 del D.lgs. n. 276 cit., il quale dispone testualmente che “[…] il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa”.

La disposizione, richiamando la disciplina di cui all'art. 1655 c.c., intende l’appalto nella sua accezione ordinaria e di contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari, con proprio personale e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro. Al fine che tale negozio possa ritenersi genuino occorre quindi che l'appaltatore gestisca la realizzazione dell’opera e/o del servizio con:

  1. una propria organizzazione produttiva;

  2. assunzione del rischio di impresa.

Mentre il rischio di impresa esprime l’assunzione, da parte dell’appaltatore, di una responsabilità non solo patrimoniale correlata al contratto di appalto, l’organizzazione invece postula l’esercizio, sempre da parte dell’appaltatore, di un’attività di coordinamento tra diversi fattori della produzione (come il personale, gli impianti, le materie prime, le risorse finanziarie) in vista della realizzazione dell’opera e/o del servizio oggetto di appalto.

Proprio con riferimento all’oggetto si vuole parlare di appalti endoaziendali nelle ipotesi in cui all’appaltatore vengano affidate tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, sicché il servizio o l’opera dedotto nel contratto si risolva essenzialmente nella fornitura di una prestazione lavorativa, resa peraltro nell’ambito dei locali del committente e se del caso unitamente al personale dipendente di quest’ultimo. Lo schema riceve a volte la denominazione di appalto c.d. labour intensive per evidenziare che l'apporto di attrezzature e capitale da parte dell’appaltatore risulta marginale rispetto al prevalente impiego di prestazioni lavorative.

Gli indirizzi della giurisprudenza sugli appalti endoaziendali o labour intensive

Ebbene la legittimità di tali contratti è ormai riconosciuta dall’orientamento della giurisprudenza al ricorrere delle seguenti condizioni:
  1. l’appaltatore deve essere in possesso di una reale organizzazione che consenta il raggiungimento, sotto rischio di impresa, di un risultato produttivo autonomo. Tale circostanza è esclusa quando l’organizzazione si risolva nell’esecuzione di compiti di mera gestione amministrativa dei rapporti di lavoro. Di contro il requisito organizzativo può affermarsi anche quando, l’appaltatore, pur utilizzando fattori produttivi del committente (macchine, locali, attrezzature), impieghi, sempre con proprio rischio, nel processo produttivo oggetto di appalto professionalità o beni immateriali di propria pertinenza;

  2. le direttive e l’attività di controllo sul lavoro devono promanare essenzialmente dall’appaltatore. La circostanza che il committente possa ingerirsi nelle modalità di spiegamento della prestazione di lavoro dei dipendenti dell’appaltatore viene considerata ipotesi compatibile con un regolare contratto di appalto nella misura in cui con tale attività il committente verifichi il rispetto delle modalità temporali e tecniche nell’esecuzione del servizio o dell'opera oggetto dell'appalto. Solo per chiarezza dei rapporti l’art. 26, comma 8 del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81/08 e succ. mod. e integr. prevede, pena sanzione amministrativa, l’obbligo di munire i dipendenti dell’appaltatore e/o subappaltatore di apposita tessera identificativa.


La prassi del Ministero del Lavoro


Sui criteri che distinguono l’appalto lecito da quello non genuino il Ministero del Lavoro si è espresso con circolare n. 5 del 2011, con la quale sono stati tendenzialmente recepiti gli indirizzi giurisprudenziali che si sono formati in materia.

In particolare il Ministero ha ritenuto non assorbente il requisito relativo alla titolarità dell’attrezzatura o della strumentazione di lavoro, così come d’altro canto ha conferito rilevanza al rischio di impresa e all’insussistenza di un concreto assetto organizzativo dell’appaltatore.

Invece non del tutto aderente al recente orientamento della giurisprudenza è l’assunto troppo netto e severo per cui negli appalti endoaziendali elemento decisivo della verifica consisterebbe nell’individuazione del soggetto che esercita il potere direttivo e dei controlli. Come testé espresso la giurisprudenza appare più aderente alla realtà e agli interessi negoziali sottesi al contratto di appalto, perché ammette in certa misura la possibilità che anche il committente possa sindacare le modalità di esecuzione della prestazione rese dai dipendenti dell’appaltatore. Ciò sempre che tale attività non vada di fatto a comprimere l’autonomia dell’appaltatore nell’esercizio del potere di gerarchico e di conformazione delle prestazioni lavorative.

Da ultimo, ma non per ultimo, non può considerarsi condivisibile la prospettazione espressa sempre nella circolare n. 5 del 2011 per cui negli appalti che dissimulino una somministrazione fraudolenta di manodopera il personale ispettivo dovrebbe adottare prescrizione con cui intimare, tra l’altro, l’accollo in capo all’utilizzatore dei dipendenti impiegati nell’appalto. Nel richiamare le osservazioni sopra esposte valga altresì osservare che in materia penale, qual è per l’appunto l’ipotesi di cui all’art. 27 del D.lgs. n. 124 cit. sanzionata invero con atti di prescrizione, vige il divieto di analogia ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni preliminari del c.c.. Ne segue che non può ritenersi ammissibile applicare a tale fattispecie sanzioni previste da altre disposizioni normative.

Il caso concreto

Venendo all’esame del caso concreto risulta che Alfa ha concesso in appalto a Gamma i lavori di manutenzione e di assistenza dei sistemi operativi e multimediali del call center, quest’ultimo ubicato nei locali di Alfa. Per l’esecuzione dell’appalto Gamma ha impiegato personale specializzato. La prestazione è stata svolta nei locali di Gamma “gomito a gomito” con i dipendenti dell’appaltante, tant’è che i dipendenti di Gamma non solo hanno reperito in loco tutte le attrezzature occorrenti per l’attività dedotta in contratto, ma risulta anche che siano stati coordinati dal committente. Tali circostanze sono state assunte dagli ispettori a fondamento dell’accertamento con cui hanno ritenuto non genuino il contratto di appalto stipulato da Gamma e Alfa. In particolare il personale ispettivo a suffragio della propria verifica adduce che:
  1. Gamma non sarebbe titolare di una reale organizzazione di lavoro;

  2. la promiscuità delle prestazioni di lavoro rese dai dipendenti di Alfa e Gamma non consentirebbe l’esatta distinzione tra appaltante e appaltatore al punto da generare una disarticolazione nella struttura del rapporto di lavoro;

  3. tale disarticolazione sarebbe confermata dall’assenza di tessere di riconoscimento fornite ai dipendenti dell’appaltatore e dall’ingerenza dell’appaltante sulle modalità di svolgimento del servizio dedotto in contratto.

A giudizio degli scriventi le conclusioni degli ispettori non colgono nel segno.

L’art. 29 comma 1 D.lgs. n. 276 cit. richiede che l’organizzazione aziendale debba essere vagliata in relazione alla natura del servizio dedotto nel contratto di appalto. Nella specie il servizio aveva ad oggetto l’assistenza e la manutenzione di servizi multimediali e quindi di un’attività che si basa, se non esclusivamente almeno prevalentemente, sul possesso di know-how e sulla preparazione professionale degli operatori, piuttosto che sulla dotazione di macchinari e strumentazione. D’altronde i dipendenti di Gamma per conseguire tali professionalità risulta che abbiano frequentato corsi di aggiornamento, il costo dei quali peraltro è stato sopportato dal Gamma a conferma dell’assunzione da parte di quest’ultima delle responsabilità economiche circa la conduzione dell’azienda. Si tratta di indici sintomatici della sussistenza del rischio di impresa e di un’effettiva struttura organizzativa. La circostanza che i dipendenti di Gamma abbiano espletato la propria attività insieme ai dipendenti di Alfa e che nell’occasione abbiano ricevuto da quest’ultima disposizioni in merito all’esecuzione dell’appalto non costituisce, a sommesso avviso degli scriventi, argomento sufficientemente plausibile per inficiare la genuinità dell’appalto.

Sebbene il postulato degli ispettori si fondi su una lettura rigorosa della circolare n. 5 del 2011 del Ministero del Lavoro, può sostenersi, in linea con l’orientamento più sensibile della giurisprudenza, che le risultanze fattuali sopra esposte non permettono di acclarare in modo certo e univoco che il sindacato esercitato dal committente sia stato così penetrante da conculcare l’autonoma posizione datoriale di Gamma. E infatti, fin quando non vengano travalicate le prerogative datoriali di Gamma, la circostanza che Alfa impartisca disposizioni e controlli sull’attività dei dipendenti di Gamma può considerarsi ipotesi fisiologicamente connessa all’interesse dell’appaltante nel conseguire un risultato conforme alle proprie aspettative. Né sotto altro aspetto potrebbe ritenersi dirimente l’assunto che vorrebbe non genuino l’appalto solo perché le prestazioni sono state eseguite nei locali di Alfa, da parte del personale sprovvisto di tessera di riconoscimento. Quest’ultima omissione è senz’altro meritevole di sanzione amministrativa, ma a parere di chi scrive non costituisce elemento di illegittimità dell’appalto, l’oggetto del quale, centrato sull’attività di assistenza dei sistemi operativi, non potrebbe che essere realizzato presso i locali del soggetto appaltante. Tali argomentazioni assorbono ogni questione inerente all’asserita natura fraudolenta dell’appalto, con la conseguente illegittimità dell’operazione di accollo dei dipendenti in capo all’utilizzatore. Tuttavia tale accollo in quanto operato mediante prescrizione non consente a Gamma di ricorrere, ai sensi dell’art. 17 D.lgs. n. 124 cit., avverso i provvedimenti de quibus, la cui natura di atto di polizia giudiziaria rimanda ogni contestazione, eventualmente mossa sui rilievi esposti nel corpo del presente contributo, nella sede a ciò deputata: il processo penale.


NOTE

i Cass. pen. Sez. III, 25/10/2005, n. 41701; recentemente Cass. pen. Sez. IV, 20-10-2010, n. 40499; Cass. pen. Sez. III, 07-02-2006, n. 12430.

ii Cfr. Ministero del Lavoro circolare n. 7 del 2005 e circolare n. 5 del 2011.

iii A conferma della validità della prospettazione che predilige un’applicazione restrittiva dell’art. 21 comma 4 del D.lgs. n. 276 cit. la stessa giurisprudenza di merito ha osservato che la costituzione ex lege del rapporto in capo all’utilizzatore debba essere circoscritta alla sola ipotesi di mancanza della forma scritta e non anche laddove siano carenti nel documento cartaceo i requisiti di cui agli artt. 20, 21, comma primo lett. a), b), c), d), e) e 27 del D.Lgs. n. 276 cit.. In tal senso Trib. Pescara Sez. lavoro, 23/02/2012; Trib. Milano Sez. lavoro, 13/01/2012; Trib. Roma, 03/05/2011; Trib. Milano, 02/02/2007. In senso contrario cfr. App. Firenze Sez. lavoro, 05/04/2012.

iv Cass. civ. Sez. lavoro, 29-09-2011, n. 19920; Cass. civ. Sez. lavoro, 06-04-2011, n. 7898; Cass. civ. Sez. lavoro, 20-05-2009, n. 11720; Cass. civ. Sez. lavoro, 20/02/2009, n. 4271.

v Trib. Milano Sez. lavoro, 05/05/2010 ; T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, 13/11/2008, n. 1627.

vi Cass. civ. Sez. lavoro, 15-07-2009, n. 16488; Trib. Reggio Emilia, 19/07/2012.

vii Cass. civ. Sez. lavoro, 15-07-2011, n. 15615; Cass. civ. Sez. lavoro, 06-06-2011, n. 12201.

viii La citata norma dispone che “nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il personale occupato dall'impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro”. La violazione della suddetta disposizione, ai sensi dell'art. 55, comma 5, lett. i), del medesimo D.lgs. è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ciascun lavoratore”.

ix La Suprema Corte a SS.UU. ha recentemente statuito che “sussiste la giurisdizione del Giudice Ordinario sull’impugnazione dell’atto per mezzo del quale l’organo di vigilanza, ai sensi dell’art. 20, D.lgs. n. 758 del 1994, accertata una contravvenzione alla normativa in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, impartisca le opportune prescrizioni fissando un termine per la eliminazione delle irregolarità. Tale atto, invero, non è annoverabile fra i provvedimenti amministrativi, dovendosi ad esso attribuire natura di atto di polizia giudiziaria, con conseguente sottrazione alle impugnazioni previste per i suddetti provvedimenti, tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale. Stante la natura di atto di polizia giudiziaria del verbale in questione, anche nella parte in cui impartisce le prescrizioni per eliminare le contravvenzioni contestate, lo stesso non può essere, dunque, impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale, che in merito a detti atti di polizia giudiziaria non ha giurisdizione, rientrando ogni doglianza nella giurisdizione del giudice penale, davanti al quale può essere fatta valere nel procedimento conseguente all’eventuale inottemperanza della prescrizione stessa” cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 09/03/2012, n. 3695.

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