L’esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro

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Si analizza la casistica in cui sussiste l’esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro per concludersi con la sanzione approntata dal Legislatore (art. 348 c.p.) e il nuovo DDL che intende inasprire la pena. Secondo la legge 12/79, gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti devono essere svolti – se non curati dagli stessi datori di lavoro - dagli iscritti a determinati albi professionali.

Ai sensi dell’art. 1, Legge n. 12 dell’11 gennaio 1979, tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell'albo dei consulenti del lavoro, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione alle Direzioni Territoriali del Lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere i suddetti adempimenti.


Le imprese considerate artigiane, nonché le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l'esecuzione degli adempimenti in questione a servizi o a centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria.


Tali servizi possono essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro, anche se dipendenti dalle predette associazioni.


Il compito dei consulenti del lavoro è molto delicato e la materia trattata è meritevole di tutela costituzionale per cui l’esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro è punito dall’art. 348 c.p.


La casistica


L’art. 348 c.p. - come stabilito dalla sesta sezione della Cassazione Penale, sentenza, n. 448 dell’11 luglio 2001, e ricordato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con lettera circolare prot. n. 1665 del 13 novembre 2003 – è una norma penale in bianco il cui precetto si completa, di volta in volta, con i contenuti descrittivi delle caratteristiche delle singole professioni.


In generale, si ritiene che eserciti abusivamente una professione colui che operi senza il necessario titolo di studio o che manchi dell'abilitazione prescritta, oppure non abbia adempiuto alle formalità richieste (iscrizione all'Albo) oppure, ancora, sia decaduto o sia stato sospeso o interdetto nell'esercizio della professione (Cass. pen., sez. VI, sentenza n. 1151 dell'8 gennaio 2003).


Si precisa, inoltre, che per la configurazione del reato ex art. 348 c.p., si ritiene sufficiente lo svolgimento di un singolo atto professionale mentre, in caso di pluralità di atti svolti in esecuzione del medesimo disegno criminoso, si ritiene ci si trovi dinanzi ad un reato continuato.


Nonostante dottrina e giurisprudenza ritengano che il soggetto passivo del reato non sia l’ordine professionale o il datore di lavoro per conto del quale il consulente abbia operato, ma bensì lo Stato, in genere si tende ad ammettere anche la costituzione di parte civile dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro per eventuali danni morali ed economici subiti.


Comunque, l'esercizio abusivo della professione non lede solo l'interesse di un'amministrazione pubblica a che la professione stessa sia esercitata da soggetti abilitati, ma anche quello circostanziato e diffuso degli appartenenti alla categoria, rappresentata dagli organismi esponenziali della stessa (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 448 del 2001).


Non commette
, invece, il delitto di abusivo esercizio della professione colui che, iscritto negli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, assuma o svolga adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, senza avere previamente dato la prescritta comunicazione alla DTL della provincia nel cui ambito intenda svolgere tali adempimenti (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 31432 del 16 luglio 2004).

La sentenza della Cassazione n. 11545/2012


Più recentemente, per la Cassazione a Sezioni Unite - sentenza n. 11545 del 15 dicembre 2011, depositata il 23 marzo 2012 - concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’art. 348 c.p., non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, ma anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.


A seguito di tale sentenza è intervenuta la Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, con pareren. 15 del 10 aprile 2012, chiarendo che alla stessa va riconosciuto un significato ampio, con ricadute in termini di tutela tout court del ruolo e delle funzioni delle professioni regolamentate.


Nel caso di specie, la Suprema Corte ha superato la diatriba tra atti attribuiti in via esclusiva ad una particolare professione, ed atti "relativamente liberi", non attribuibili con la stessa riserva di legge, concludendo nel senso di tutelare in ogni caso dall'esercizio abusivo anche questa ulteriore sottocategoria, quando a compiere tale tipo di atti sia un soggetto abusivo in quanto sprovvisto di qualsivoglia abilitazione legale.


L’attività dei CED


L'attività dei CED è disciplinata dall'art.
1, comma 5, Legge n. 12 del 1979, secondo il quale per lo svolgimento delle operazioni di calcolo e stampa relative agli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti nonché per l'esecuzione delle attività strumentali ed accessorie, le imprese artigiane e piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono avvalersi anche di Centri di elaborazione dati che devono in ogni caso essere assistiti da uno o più soggetti iscritti agli albi di cui alla legge in questione.

Il Ministero del Lavoro, con nota prot. n. 7004 del 4 giugno 2007, ha specificato che la nozione di assistenza da parte del professionista si deve concretizzare in un supporto di natura consulenziale avente ad oggetto tutte le problematiche di natura lavoristica, previdenziale e fiscale afferenti alla gestione dell'impresa; tale assistenza deve trovare la sua puntualizzazione di natura formale con il conferimento di un incarico avente ad oggetto il controllo e la verifica dell'aggiornamento e del corretto funzionamento delle attività di calcolo e stampa svolte dai CED, i quali devono effettuare formale designazione di uno o più professionisti abilitati di cui all'
art. 1 comma 1, della Legge n. 12/1979.

La suddetta designazione deve essere effettuata mediante comunicazione scritta avente data certa inviata, prima dell'inizio delle attività - o per le realtà già in essere entro la scadenza del successivo periodo di paga - alla Direzione Territoriale del lavoro e ai Consigli provinciali degli Ordini professionali interessati competenti per territorio.


Come chiarito dal Ministero del Lavoro, con circolare n. 17 dell’11aprile 2013, i CED possono effettuare "esclusivamente" attività esecutive e di servizio, quali le mere operazioni di calcolo e stampa dei dati retributivi nonché le attività strumentali ed accessorie.


Infatti, già con lettera circolare del 23 ottobre 2007, lo stesso Ministero aveva specificato che i CED dovevano limitarsi ad elaborazioni aventi valenza matematica di tipo meccanico ed esecutivo, quali la mera imputazione di dati (data entry) ed il relativo calcolo e stampa degli stessi, operazioni che non devono includere attività di tipo valutativo ed interpretativo.


La Corte di Cassazione, intervenendo in tema di esercizio abusivo della professione, ha affermato che commette il reato di cui all'art.
348 c.p. colui che non si limiti ad eseguire compiti di natura esecutiva, quali il mero calcolo o la semplice elaborazione di dati, ma svolga attività di più alto livello professionale, con ampia autonomia decisionale, quali, ad esempio, gli adempimenti connessi all'assunzione ed al licenziamento dei lavoratori, l'assunzione di lavoratori con contratti di formazione lavoro, la compilazione dei modelli DM/10 per l'INPS, ecc. (Cass. Pen., sentenza n. 27848 dell'11 luglio 2001).

D’altra parte, il Ministero del Lavoro ha avuto modo di sottolineare (lettera circolare prot. n. 1665/2003) come lo spettro operativo dell'
art. 348 c.p., nel combinato disposto con l'art. 3 della Legge n. 12/1979, si estenda alle ipotesi di esercizio della professione in forme associate o societarie ovvero anche, stante la lettera dei commi 4 e 5 dell'art. 1, alle attività dei centri di elaborazione dati come confermato dalla pronuncia della Suprema Corte: "l'ambito del penalmente rilevante viene a configurarsi come assai più ampio ed esteso, in quanto viene ad essere ricompresa nella norma dell'art. 1 della Legge n. 12/1979 anche l'attività svolta dai centri di elaborazione dati se non costituiti e composti con la presenza o l'assistenza di consulenti del lavoro".

Le sanzioni e il nuovo DDL


Per l’art. 348 c.p., chiunque
abusivamente eserciti una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 ad euro 516.

Al caso di specie non è applicabile la prescrizione obbligatoria ex art. 15, D.Lgs. n. 124/2004, in quanto trattasi di delitto, né l’oblazione ex art. 162 bis c.p.


Tuttavia, si evidenzia che il Disegno di Legge n. 471 approvato dal Senato in data 3 aprile 2014, prevede un inasprimento della pena prevista dall’art. 348 c.p. e, più in particolare la reclusione fino a due anni e la multa da 10.000 euro a 50.000 euro.

 

Norme e prassi

- Legge n. 12 dell’11 gennaio 1979

- Disegno di Legge n. 471 approvato dal Senato in data 3 aprile 2014

- Lettera circ. Ministero Lavoro e Politiche Sociali prot. n. 1665 del 13 novembre 2003

- Nota Ministero Lavoro e Politiche Sociali prot. n. 7004 del 4 giugno 2007

- Lettera circ. Ministero Lavoro e Politiche Sociali del 23 ottobre 2007

- Parere Fondazione Studi CDL n. 15 del 10 aprile 2012

- Circolare Ministero Lavoro e Politiche Sociali n. 17 dell’11 aprile 2013

- Sentenza Cassazione Penale n. 448 dell’11 luglio 2001

- Sentenza Cassazione Penale n. 27848 dell'11 luglio 2001

- Sentenza Cassazione Penale n. 1151 dell'8 gennaio 2003

- Sentenza Cassazione Penale n. 31432 del 16 luglio 2004

- Sentenza Cassazione SS.UU. n. 11545 del 15 dicembre 2011 (dep. il 23 marzo 2012)

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