Operazione “case-fantasma”. Sì alla sanatoria, ma con vincoli

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L’operazione “case-fantasma” messa in atto dall’Agenzia delle Entrate, grazie all’incrocio delle mappe catastali con le immagini fornite dall’Agea, è giunta al termine (comunicato stampa del 4 ottobre 2013).

Sono oltre 1,2 milioni le unità urbane che risultavano sconosciute al Fisco e che ora, invece, sono state regolarmente censite nella banca dati catastale, per un valore complessivo delle rendite associate a tali immobili superiore a 800 milioni di euro.

Degli immobili censiti, la maggior parte (60%) ha trovato una rendita catastale definitiva, mentre a circa 492mila unità è stata attribuita una rendita presunta, che, se dovesse trovare conferma, potrebbe fruttare all’Erario un maggior gettito complessivo stimato in circa 589 milioni di euro all’anno.

Di questi nuovi introiti, la maggior parte è destinata ai Comuni sotto forma di IMU, mentre una parte andrà direttamente allo Stato perché frutto di Irpef, cedolare secca o ancora imposta di registro sui canoni di locazione.

Per la vastità dell’iniziativa, la sua durata e i numeri finali, l’operazione “case-fantasma” si può considerare come una delle più imponenti azioni di lotta al sommerso messe in atto negli ultimi anni.

I proprietari di immobili coinvolti nell’operazione se vogliono mantenere intatti i volumi degli stessi senza demolirli spontaneamente potranno richiedere una sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del Dpr n. 380/2001 (Testo unico dell'edilizia).

La scelta non è però semplice data la sua onerosità: oltre a dimostrare, infatti, la compatibilità urbanistica dell’immobile con le previsioni dei vari piani comunali (il requisito della conformità deve risultare raddoppiato con riferimento sia ai vincoli vigenti al momento della realizzazione dell’immobile che con quelli in atto al momento della sanatoria) è necessario pagare anche il doppio del contributo di costruzione, ottenuto sommando i costi di costruzione con gli oneri di urbanizzazione.

L’alternativa a questa regolarizzazione piuttosto costosa è offerta dall’articolo 3, comma 1, lett. d) del Testo unico edilizia, come modificato dalla Legge n. 98/2013, che consente la ricostruzione di pertinenze anche remote, nel caso in cui è possibile dimostrarne l’esistenza. Così, qualunque tipo di prova reperibile (foto, rogiti, ecc..) può essere utile a far sì che una pertinenza esistente, ma priva di concessione o licenza edilizia, già accatastata, possa essere considerata una ristrutturazione di vecchi volumi e, dunque, essere dalla Legge considerata una ristrutturazione agevolata.
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