Pensioni. Stesso trattamento uomini e donne su integrazione invalidità

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Pensioni. Stesso trattamento uomini e donne su integrazione invalidità

La Corte di giustizia Ue, con sentenza pronunciata nella causa C-113/22, il 14 settembre 2023, si è occupata di una domanda di pronuncia pregiudiziale che verteva sull’interpretazione della direttiva 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale.

La domanda era stata presentata nell’ambito di un giudizio tra un uomo, padre di due figli, da un lato, e l'Istituto nazionale della previdenza sociale della Spagna, in merito al rifiuto di concedere al primo un’integrazione della pensione di invalidità di cui beneficiavano, in forza della normativa nazionale spagnola, solo le donne che avessero avuto almeno due figli biologici o adottati.

Corte Ue: discriminatoria l'integrazione della pensione solo a favore delle donne

Il giudice nazionale investito della vicenda si era rivolto ai giudici europei per chiarire se tale prassi fosse conforme alla normativa europea.

Si chiedeva, in particolare, se la prassi dell’Ente previdenziale potesse costituire, di per sé, una discriminazione fondata sul sesso e, in caso di risposta affermativa, se dovesse essere disposto anche un indennizzo a titolo di risarcimento del danno e con effetto dissuasivo in favore del discriminato.

Sulla normativa spagnola alla base della prassi in parola i giudici europei si erano già pronunciati nel 2019, giudicandola contraria alle norme Ue in quanto integrante una discriminazione di genere diretta.

Discriminazione constatata? Norme nazionali da disapplicare

Ebbene - ha rammentato la Corte di giustizia - quando una discriminazione, contraria al diritto dell’Unione, sia stata constatata e finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il rispetto del principio di uguaglianza può essere garantito solo mediante la concessione alle persone appartenenti alla categoria sfavorita degli stessi vantaggi di cui beneficiano le persone della categoria privilegiata.

In tale ipotesi, così, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione nazionale discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti del gruppo sfavorito (nella specie, i padri) lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria (in questo caso, le madri).

Lo stesso obbligo, del resto, incombe non solo sui giudici nazionali, ma anche su tutti gli organi dello Stato, incluse le autorità amministrative nazionali tenute ad applicare la normativa.

Di conseguenza, una decisione individuale di rigetto, come quella di specie, adottata in applicazione di una normativa costitutiva di una discriminazione, va considerata come discriminatoria alla pari della medesima normativa: tale decisione riproduce, nei confronti della persona interessata, gli stessi elementi discriminatori.

Ne discende che il giudice nazionale adito sarà tenuto a ripristinare la parità di trattamento.

Padre discriminato sulla pensione? Integrazione più risarcimento

Non solo. Va altresì considerato che una decisione, come quella esaminata, che nega ai padri la concessione dell’integrazione della pensione, adottata conformemente a una prassi amministrativa  formalizzata in una regola amministrativa pubblica, può avere, come conseguenza, per gli affiliati di sesso maschile, a prescindere dalla discriminazione diretta fondata sul sesso, anche una discriminazione relativa ai requisiti procedurali che disciplinano la concessione dell’integrazione medesima.

Tale circostanza, infatti, espone gli uomini ad un termine più lungo per ottenere tale integrazione, nonché, se del caso, a spese aggiuntive.

Il giudice nazionale adito, ciò posto, non può limitarsi a riconoscere il diritto all’integrazione della pensione con effetto retroattivo, atteso che tale decisione non porrebbe rimedio ai danni derivanti dall'ulteriore discriminazione indicata.

Il padre, infatti, deve poter beneficiare anche di un adeguato risarcimento, idoneo a compensare integralmente i danni effettivamente subiti a seguito della discriminazione, risarcimento che deve prendere in considerazione anche le spese da lui sostenute, inclusi onorari e spese legali.

Questa, in definitiva, è la conclusione della Corte di giustizia dell'Unione europea:

"...il giudice nazionale, adito di un ricorso contro quest’ultima decisione, deve ingiungere a tale autorità non solo di concedere all’interessato l’integrazione della pensione richiesta, ma anche di corrispondergli un indennizzo che consenta di compensare integralmente i danni da lui effettivamente subiti a causa della discriminazione, sulla base delle norme nazionali applicabili, incluse le spese e gli onorari di avvocato che ha sostenuto in giudizio, qualora tale decisione sia stata adottata conformemente ad una prassi amministrativa consistente nel continuare ad applicare detta normativa malgrado tale sentenza, obbligando in tal modo l’interessato a far valere in giudizio il suo diritto a detta integrazione".

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