Per la lavoratrice madre “condizioni ambientali” nel senso più ampio del “contesto ambientale”

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Una Legge, la n. 35 del 4 aprile 2012, ha apportato modifiche alla disciplina sull’interdizione della lavoratrice madre. Ha mutato, cioè, il contenuto dell’articolo 17, comma 2, lettere b) e c) del Decreto Legislativo n. 151/2001. Questo, con oggetto l’estensione del divieto di adibire al lavoro le donne nei mesi precedenti e successivi la data presunta del parto e durante gli ulteriori giorni non goduti, prevede – nel comma 2, lettere b) e c) ora citato – che:

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Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151
"Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"
pubblicato nella “Gazzetta Ufficiale” n. 96 del 26 aprile 2001 - Supplemento Ordinario n. 93

2. Il servizio ispettivo del Ministero del lavoro può disporre, sulla base di accertamento medico, avvalendosi dei competenti organi del Servizio sanitario nazionale, ai sensi degli articoli 2 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza, fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'articolo 16, per uno o più periodi, la cui durata sarà determinata dal servizio stesso, per i seguenti motivi:

(…)

b)
quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;

c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.

(…)

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Oggi, in virtù della novità di Legge che ha modificato quel testo, il termine “condizioni ambientali” può essere inteso in senso più ampio, non legato alle sole mansioni svolte ma, più in generale, alle caratteristiche del contesto ambientale ove è effettuata la prestazione di lavoro. Lo commenta il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali nella nota n. 7553, del 29 aprile 2013.

Quanto la nota ministeriale precisa intervenendo sull’interdizione delle lavoratrici madri, sono le cause che determinano l’allontanamento dal lavoro. Spiega che non solo vanno valutate le mansioni svolte dalla dipendente, anche il contesto ambientale in cui è prestato il lavoro e la valutazione deve estendersi ad ogni ambiente di lavoro necessariamente frequentato dalla lavoratrice durante la propria prestazione.

Accanto alle previsioni del Testo unico sulla maternità, secondo la nota n. 7553/2013, l'interdizione anticipata della lavoratrice in stato di gravidanza può essere attuata anche in base al Dvr - documento valutazione rischi - del datore di lavoro.

Il riscontro, da parte degli ispettori, di vistose contraddittorietà, assoluta carenza di adeguati criteri, determina la valutazione, ad opera della Dtl competente, dell’opportunità di interessare la competente Asl per una verifica di carattere ispettivo. Ciò, tuttavia, non osta al rilascio del provvedimento di interdizione per maternità a rischio.

Con le attuali previsioni di Legge, il datore di lavoro assume il potere “esclusivo” di valutare la fattibilità dello spostamento, essendo l’unico soggetto in grado di conoscere l’organizzazione aziendale. Peraltro, poiché l’imprenditore è colui che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (art. 2082 C.C.), la valutazione sulla possibilità dello spostamento ad altra mansione deve tener conto che il mutamento dell’incarico, ovvero l’adibizione ad incarico diverso, assicuri comunque condizioni che garantiscano l’efficienza dell’organizzazione aziendale e non comprometta le finalità economiche dell’impresa.

Invece, gli uffici territoriali hanno appunto la “facoltà” (non l’obbligo) di procedere ad accertamenti successivi, motivando con l’esigenza di verificare la veridicità di quanto il datore di lavoro asserisce.

A proposito della impossibilità di spostamento, individuata dal legislatore, la valutazione operata dagli uffici sugli elementi tecnici attinenti ai fattori organizzativi aziendali trova perciò il limite di cui sopra, del principio sancito dall’articolo 2082 del Codice civile.

Ciò premesso, la Direzione territoriale del lavoro (Dtl) può disporre l'interdizione dall'attività lavorativa della donna in stato di gravidanza anticipatamente rispetto all'inizio del normale periodo di astensione obbligatoria, per uno o più periodi la cui durata è determinata dal provvedimento autorizzativo, per i seguenti motivi:

- quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna o del bambino;

- quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni.

D’altra parte, i presupposti di diniego del provvedimento di interdizione possono individuarsi:

- nella mancanza di condizioni di rischio per la salute della lavoratrice in ragione del periodo oggetto di tutela (la gestazione o i sette mesi dopo il parto);

- nella possibilità di spostamento ad altre mansioni della lavoratrice.

ASPETTO TEMPORALE.

Il provvedimento interdittivo – che, come appena anticipato, può essere emanato in conseguenza di condizioni di rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, evidenziate contestualmente (*) alla valutazione dei rischi generali dal datore di lavoro (ddl) nell’ambito della valutazione del rischio condotta a norma dell’articolo 11 del Decreto Legislativo n. 151/2001 - opera per il periodo fino all’astensione (i due mesi precedenti la data presunta del parto) – articolo 16, comma 1, lettera a) – ovvero per i sette mesi dopo il parto – articolo 7, comma 6.  

ATTENZIONE: l'emanazione del provvedimento è condizione essenziale per l'astensione dal lavoro, che decorre pertanto dalla data del provvedimento (il quale va adottato entro il termine di sette giorni dalla ricezione della documentazione completa).

ASPETTO PROCEDURALE.

L'astensione anticipata dal lavoro può essere disposta:

- su istanza della lavoratrice (che può essere il tramite di una dichiarazione prodotta dal datore di lavoro nella quale risulti in modo chiaro, sulla base di elementi tecnici che attengono all’organizzazione aziendale, l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni);  

- d'ufficio, qualora nel corso dell'attività di vigilanza propria della Dtl emerga l'esistenza delle condizioni di cui sopra.

Se, diversamente, la necessità di disporre l'interdizione anticipata derivi da complicanze della gravidanza o da preesistenti forme morbose, l'iniziativa appartiene unicamente alla lavoratrice e la competenza a disporre è dell'Asl.

ATTENZIONE: in caso di interdizione anticipata dal lavoro o di posticipo del rientro, i periodi in esame sono considerati, ai fini normativi e indennitari, come periodi di astensione obbligatoria.

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NOTA (*): anche preventivamente, consentendo al ddl di informare le lavoratrici, ancor prima che sopraggiunga una gravidanza, dei rischi esistenti in azienda, delle misure di prevenzione e protezione che egli ritiene dover adottare in tal caso, e, quindi, dell’importanza che le dipendenti gli comunichino tempestivamente il proprio stato, in modo che possano essere valutati con immediatezza i rischi specifici e la conseguente opportunità di spostarle ad altre mansioni compatibili con la gestazione e, poi, con il periodo di allattamento, fino a sette mesi dopo il parto.

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