Reati di autoriciclaggio e appropriazione indebita: amministratore condannato

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Reati di autoriciclaggio e appropriazione indebita: amministratore condannato

Va ritenuto responsabile dei reati di appropriazione indebita e di autoriciclaggio l'amministratore della società che abbia ceduto un marchio di proprietà di quest'ultima, all'insaputa degli organi sociali, appropriandosi delle somme ricavate dalla vendita.

E' quanto si apprende dalla lettura della sentenza n. 28548 del 3 luglio 2023, con cui la Seconda sezione penale della Cassazione si è pronunciata nell'ambito di un giudizio penale a carico del presidente del consiglio di amministrazione di una Srl.

Appropriazione indebita del marchio della società

Secondo quanto ricostruito dai giudici di gravame, l'imputato, al fine di poter cedere il marchio a terzi, aveva architettato l'escamotage di predisporre una falsa delibera assembleare nella quale si dava falsamente atto della presenza dell'intero capitale sociale e dell'autorizzazione alla vendita.

La falsa delibera costituiva il necessario antecedente di fatto e di diritto che legittimava l'imputato all'alienazione del marchio, consentendogli di stipulare il relativo contratto di vendita con altra società.

L'amministratore, quindi, aveva concluso il contratto di cessione ricevendo, come corrispettivo, tre assegni bancari, successivamente versati in un conto corrente intestato abusivamente alla società, conto che l'imputato aveva aperto per l'occasione, all'insaputa degli altri soci, e sul quale solo egli poteva operare.

All'imprenditore era dunque ascrivibile la condotta dolosa che aveva determinato la perdita irreversibile del marchio in capo alla società, dovendosi peraltro escludere il soddisfacimento di un interesse sociale sotteso alla vendita.

Reato di autoriciclaggio, sussistenza

Era stata anche ravvisata, in tale contesto, la sussistenza del delitto di autoriciclaggio.

Il successivo svuotamento del conto sociale in favore di altri tre conti correnti intestati a società di comodo era avvenuto con bonifici bancari supportati da fatture false emesse per operazioni inesistenti che non comparivano nella contabilità della società.

L'imputato, quindi, avvalendosi di documentazione fittizia, aveva posto in essere attività di autoriciclaggio, idonea ad ostacolare gli accertamenti sulla provenienza delittuosa delle somme transitate su quei conti.

In tema di autoriciclaggio - si legge nel testo della decisione - il criterio da seguire ai fini dell'individuazione della condotta dissimulatoria è quello della idoneità ex ante, sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell'illecito per effetto degli accertamenti compiuti, determini automaticamente una condizione di inidoneità dell'azione per difetto di concreta capacità decettiva.

Reato di appropriazione indebita estinto per prescrizione

Le conclusioni dei giudici di merito sono state confermate dagli Ermellini che, tuttavia, hanno riscontrato l'estinzione per prescrizione del delitto di appropriazione indebita, maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata e nelle more del giudizio di legittimità.

Il reato - ha precisato la Corte - si era consumato allorché l'imputato aveva accreditato gli assegni sul conto corrente acceso presso la banca e intestato abusivamente alla società.

Da tale momento era iniziato a decorrere il termine di prescrizione, ora interamente maturato.

Da qui l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, limitatamente al reato in parola, con eliminazione della relativa pena.

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