Accessi e ispezioni. Mancato rispetto del termine di 60 giorni

Pubblicato il 13 settembre 2019

L’osservanza del termine di 60 giorni per l’emanazione dell’atto di accertamento in caso di accesso o ispezione è l’oggetto di una pronuncia della Cassazione.

La sentenza n. 22644 dell’11 settembre 2019 verte sull’interpretazione dell’articolo 12, comma 7, legge 212/2000 (Statuto del contribuente) e, più nello specifico, sulla necessità della prova di resistenza da parte del contribuente che ricorre contro il provvedimento impositivo, emesso a seguito di accessi, ispezioni o verifiche fiscali nei locali in cui viene esercitata l’attività.

Sul punto, le Sezioni Unite – sentenza n. 18184/2013 – hanno disposto che l’emanazione dell’atto prima dei 60 giorni deve considerarsi illegittima. Ciò in quanto il contraddittorio è primaria espressione dei principi costituzionali di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto ad un più efficace esercizio dell’imposizione.

Con riferimento ai tributi armonizzati – che è il caso della sentenza trattata, attinente all’Iva - la violazione del contraddittorio preventivo da parte dell’A.F. determina l’invalidità dell’atto se il contribuente si è attenuto alla c.d. prova di resistenza, ossia abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere.

Sulla questione, i giudici della Cassazione ritengono di seguire il principio secondo cui, in caso di accessi, ispezioni o verifiche fiscali, la normativa ha già valutato il rispetto del contraddittorio, comminando la nullità dell’atto impositivo per la mancanza del rispetto del termine di 60 giorni, diretto a consentire al contribuente di interloquire con l’A.F. Quindi, tale norma contiene già in sé la prova di resistenza.

Di conseguenza, per le imposte armonizzate, non è richiesta la prova di resistenza in ipotesi di accessi, ispezioni o verifiche fiscali effettuati nei locali in cui si svolge l’attività del contribuente, valendo solo per verifiche a tavolino.

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