Amianto, datore responsabile se non ha adottato le ulteriori misure preventive

Pubblicato il 17 marzo 2015 I giudici di Cassazione, con la sentenza n. 11128 del 16 marzo 2015, hanno ribadito come, in materia di violazione di norme previdenziali, la circostanza che la condotta antidoverosa, per effetto di nuove conoscenze tecniche e scientifiche, risulti, nel momenti del giudizio, produttiva di un evento lesivo che non era conosciuto quale sua possibile implicazione nel momento in cui è stata tenuta, non esclude comunque la sussistenza del nesso causale e dell'elemento soggettivo del reato sotto il profilo della prevedibilità.

Questo quando l'evento verificatosi offenda lo stesso bene alla cui tutela avrebbe dovuto indirizzarsi il comportamento richiesta dalla norma, e risulti che detto comportamento avrebbe evitato anche la lesione in concreto attuata.

Non basta l'adeguamento ai parametri di prevenzione vigenti

In particolare, il datore di lavoro risponde delle morti da amianto anche quando, pur avendo rispettato le norme preventive vigenti all'epoca dell'esecuzione dell'attività lavorativa, non abbia adottato le ulteriori misure preventive necessarie per ridurre il rischio concreto prevedibile di contrazione della malattia, assolvendo così all'obbligo di garantire la salubrità dell'ambiente di lavoro.

Nella medesima decisione, la Suprema corte ha anche precisato come le patologie tumorali come il carcinoma polmonare e il mesotelioma, derivanti dall'esposizione all'amianto, vanno considerate “dose correlate", in quanto il loro sviluppo, in termini di rapidità e gravità, appare condizionato dalla quantità di sostanza cancerogena inalata dal soggetto.

Ne consegue la rilevanza non tanto della “dose innescante” quanto delle esposizioni di amianto successive che, di fatto, accorciano la latenza della malattia portandola agli esiti infausti del suo normale decorso. E il termine della prescrizione del reato, in questo contesto, decorre dalla cessazione dell’esposizione all’amianto.
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