La Corte Costituzionale apre all’integrazione al minimo per l’assegno ordinario di invalidità anche in regime contributivo.
Con la sentenza n. 94 depositata il 3 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 16, della Legge n. 335/1995 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, cosiddetta "Riforma Dini"), nella parte in cui non esclude l’assegno ordinario di invalidità, calcolato interamente secondo il sistema contributivo, dal divieto di applicazione delle disposizioni sull’integrazione al trattamento minimo.
L’assegno ordinario di invalidità è disciplinato dalla Legge n. 222/1984, art. 1. Spetta al lavoratore la cui capacità lavorativa risulti ridotta a meno di un terzo, a causa di infermità o difetto fisico o mentale.
La Legge n. 335/1995, all’art. 1, comma 16, ha introdotto una netta esclusione dall’integrazione al minimo per tutte le pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo. Tale esclusione è stata estesa anche all’assegno ordinario di invalidità, malgrado la sua peculiare funzione protettiva.
La Corte di cassazione – Sezione lavoro, ha rimesso la questione alla Corte costituzionale, rilevando una potenziale violazione degli articoli 3 e 38, comma 2, della Costituzione, per disparità di trattamento e inadeguatezza della tutela prevista per i soggetti invalidi in età attiva, destinatari di un assegno di importo minimo, ma privi di altri strumenti assistenziali.
Nel pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le censure e ha illustrato in modo articolato le ragioni della propria decisione.
La Corte ha affermato che l’assegno ordinario di invalidità deve essere escluso dal campo di applicazione del divieto di integrazione al minimo, introdotto dall’art. 1, comma 16, della Legge n. 335/1995, nel contesto del graduale passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.
Tale prestazione, riconosciuta al lavoratore la cui capacità lavorativa sia ridotta a meno di un terzo a causa di menomazioni fisiche o mentali, si caratterizza per una funzione tipicamente protettiva, rivolta a soggetti in età lavorativa colpiti da invalidità rilevante.
A partire dalla sua introduzione, con la Legge n. 222 del 1984, l’assegno ordinario di invalidità è stato disciplinato in modo autonomo e più favorevole, proprio in ragione della sua finalità parzialmente assistenziale.
Anche il meccanismo di integrazione al minimo si distingue da quello previsto per le pensioni ordinarie: non si tratta di una semplice equiparazione al trattamento minimo INPS, ma di un’integrazione aggiuntiva, inizialmente commisurata alla pensione sociale (oggi all’assegno sociale), finanziata integralmente dalla fiscalità generale tramite l’ex fondo sociale, ora sostituito dalla Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali (GIAS).
Secondo la Corte, l’eliminazione dell’integrazione al minimo per l’assegno ordinario di invalidità liquidato con il sistema contributivo, come previsto dalla riforma del 1995, non contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo di sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. Ciò in quanto l’integrazione al minimo rappresenta una forma di tutela aggiuntiva già finanziata dalla fiscalità generale, analogamente alle prestazioni proprie del sistema assistenziale.
Un ulteriore elemento distintivo dell’assegno ordinario di invalidità è la sua potenziale fruizione in età lavorativa, ben prima del compimento dell’età prevista per l’assegno sociale. In presenza di un importo particolarmente basso, il soggetto invalido potrebbe non disporre di altri strumenti di sostegno economico, esponendosi a una situazione di vulnerabilità prolungata.
Tale rischio si concretizza, ad esempio, quando:
In questo contesto, l’esclusione dall’integrazione al minimo risulta particolarmente penalizzante, compromettendo la funzione di protezione sociale assegnata all’istituto.
La Corte ha inoltre evidenziato che l’assegno ordinario di invalidità non può essere assimilato alle prestazioni previdenziali soggette a penalizzazione per uscita anticipata dal lavoro.
A differenza di altri soggetti che escono volontariamente dal mercato del lavoro senza aver maturato una contribuzione adeguata, il percettore dell’assegno ordinario ha perso la capacità lavorativa a causa di invalidità e, quindi, non ha avuto la possibilità di accumulare un montante contributivo sufficiente.
Per tali ragioni, la scelta del legislatore di assimilare l’assegno ordinario agli altri trattamenti pensionistici contributivi è stata ritenuta in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto lesiva del principio di eguaglianza. La censura relativa all’art. 38, secondo comma, è stata assorbita nella declaratoria di illegittimità per violazione dell’articolo 3.
Infine, tenuto conto che una pronuncia con effetti retroattivi (ex tunc) avrebbe generato un impatto finanziario significativo e immediato, in particolare per la corresponsione di arretrati, la Corte ha stabilito che gli effetti della decisione decorreranno dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale.
In tal modo, si garantisce un bilanciamento tra il rispetto dei diritti costituzionali e la sostenibilità economica dell’intervento.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".