Attività di personal trainer durante la malattia: sì al licenziamento

Pubblicato il 29 ottobre 2025

L’attività extra-lavorativa non occasionale, svolta in contrasto con le prescrizioni mediche e potenzialmente idonea ad aggravare le patologie dichiarate, risulta gravemente lesiva degli obblighi di fedeltà, correttezza e buona fede.

Tale condotta, incidendo sia sul piano oggettivo sia su quello soggettivo, compromette in modo irreversibile la fiducia del datore di lavoro e giustifica, pertanto, il recesso per giusta causa.

Licenziamento per attività extra-lavorativa in malattia

Il caso esaminato  

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 28367 del 27 ottobre 2025, ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare di un dipendente che, durante un periodo di malattia, svolgeva attività fisica e professionale come personal trainer.

Il datore di lavoro aveva contestato la condotta ritenendola incompatibile con lo stato patologico dichiarato e lesiva del vincolo fiduciario che regola il rapporto di lavoro subordinato.

Il giudice di primo grado e la Corte d’Appello di Roma avevano già ritenuto il licenziamento proporzionato, evidenziando come il comportamento del lavoratore violasse i doveri di correttezza e buona fede sanciti dagli articoli 1175 e 1375 del Codice Civile.

Il ricorso in Cassazione  

Il lavoratore ha impugnato la sentenza d’appello, denunciando la violazione degli articoli 2104, 2105 e 2119 c.c., sostenendo che l’attività svolta fosse marginale e non pregiudizievole per il datore di lavoro.

La società resistente ha invece ribadito che l’attività extra-lavorativa, svolta in costanza di malattia, era in evidente contrasto con la patologia dichiarata e tale da minare irrimediabilmente la fiducia datoriale.

La decisione della Suprema Corte  

La Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente, confermando che l’attività extra-lavorativa svolta durante un periodo di malattia, se incompatibile con le condizioni di salute, integra giusta causa di licenziamento disciplinare: tale condotta è idonea a compromettere il vincolo fiduciario o a dimostrare l’inesistenza della malattia dichiarata.

Anche in assenza di un danno economico diretto, infatti, il comportamento del lavoratore è sufficiente a integrare una grave violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà, qualora risulti oggettivamente incompatibile con la condizione sanitaria o con la fiducia riposta dal datore di lavoro.

Il giudizio di merito è stato ritenuto immune da vizi logici e giuridici: la valutazione della Corte d’Appello era fondata su prove attendibili e coerenti.

Il ricorso è stato quindi respinto, con condanna del lavoratore al pagamento delle spese processuali, quantificate in euro 4.500 oltre accessori di legge.

Il lavoratore in malattia deve agire con correttezza e buona fede

La sentenza n. 28367/2025 conferma un orientamento costante della giurisprudenza di legittimità: il lavoratore, anche durante la malattia, resta vincolato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede.

Ogni condotta che dimostri la non genuinità dello stato di malattia o che comprometta la fiducia del datore di lavoro può giustificare il recesso immediato.

La pronuncia rappresenta un importante riferimento per la gestione disciplinare delle assenze per malattia, riaffermando la centralità del vincolo fiduciario nel rapporto di lavoro subordinato.

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