Bancarotta per l’imprenditore, se non prova che l’atto è vantaggioso

Pubblicato il 03 ottobre 2017

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, ha confermato la condanna di un imprenditore per bancarotta semplice, per aver, in qualità di presidente del C.d.a. di una S.r.l. poi dichiarata fallita, dissipato una parte notevole del patrimonio sociale mediante trasferimento di risorse societarie ad altra società controllata.

Vantaggio complessivo di gruppo? All’amministratore l’onere di dimostrarlo

Con l’occasione, la Corte ha puntualizzato che, ove si accerti che l’atto compiuto dall’amministratore non sia stato rispondente agli interessi della società ed abbia determinato un danno patrimoniale sociale, è onere dell’amministratore medesimo dimostrare l’esistenza di una realtà di gruppo - alla luce della quale quell’atto assuma un significato diverso - sì che i beneficiari indiretti della società fallita risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediati negativi dell’operazione compiuta; di guisa che, in sostanza, nella ragionevole previsione dell’agente, l’atto compiuto non sia capace di incidere sulle ragioni dei creditori della società.

In assenza, come nel caso di specie, di specifiche indicazioni da parte dell’imputato circa la concreta configurabilità di tali vantaggi compensativi, ed anzi in presenza di evidenze probatorie tali da dar conto dell’esatto contrario, non è dunque compito del giudice – concludono gli Ermellini con sentenza n. 45288 del 2 ottobre 2017 – accertare la prova negativa della loro esistenza.

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