Bonus Facciate: con false fatture profitti sequestrati

Pubblicato il 19 marzo 2025

Fatture per lavori mai realizzati: rischio di sequestro preventivo

Le fatture emesse per lavori non realizzati, in particolare quelle relative al cosiddetto bonus facciate, possono portare a sequestro preventivo nei confronti degli amministratori e della società stessa.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10400 del 17 marzo 2025, ha trattato il caso di una società contro l’ordinanza del Tribunale di Salerno, che aveva confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei profitti derivanti dal reato tributario di emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Secondo l'ipotesi accusatoria, l'emissione delle false fatture era finalizzata a creare dei crediti fiscali fittizi connessi al cosiddetto bonus facciate.

Le attività illecite contestate erano state asseritamente messe in atto per generare vantaggi fiscali a proprio favore e a beneficio di terzi.

Il reato contestato: emissione di fatture false

Il reato contestato era l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, come disciplinato dall’art. 8 del Decreto Legislativo n. 74/2000. Questo reato si verifica quando una società emette fatture relative a prestazioni mai effettuate, allo scopo di ottenere vantaggi fiscali indebiti, come crediti d'imposta o detrazioni.

Nel caso in esame, la società aveva emesso fatture per lavori edilizi mai realizzati, generando crediti fiscali fittizi. Tali crediti erano stati poi utilizzati o ceduti a terzi, facilitando l'accesso a vantaggi fiscali non dovuti.

La responsabilità della società

In base al Decreto Legislativo n. 231/2001, che attribuisce responsabilità amministrativa agli enti per reati commessi da loro amministratori o dipendenti, la società era stata coinvolta in queste operazioni fraudolente. Nonostante la sua attività apparisse limitata e priva di una struttura operativa adeguata, la compagine aveva emesso fatture per oltre 12 milioni di euro, creando crediti fiscali attraverso operazioni simulate.

Motivazione del sequestro preventivo

Il sequestro preventivo, in tale contesto, era stato disposto dal Tribunale per evitare che i profitti derivanti da frodi fiscali venissero dissipati.

La società, infatti, risultava essere una "società fantasma", senza operazioni concrete o dipendenti, ma con fatturazioni enormi. La Guardia di Finanza aveva anche accertato l'inesistenza di molti degli immobili per cui erano stati emessi i crediti d’imposta.

"Periculum in mora" e insufficiente motivazione

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata, rilevando l’insufficienza della motivazione sul "periculum in mora", cioè sul rischio concreto che i beni sequestrati venissero dispersi prima della fine del processo.

Nonostante il Tribunale avesse confermato gli indizi di reato, la motivazione riguardante il pericolo di dissipazione dei beni era stata giudicata troppo generica.

La Corte di cassazione, in particolare, ha confermato la sussistenza di indizi di reato, ma ha annullato l’ordinanza per la mancanza di una motivazione adeguata sul "periculum in mora".

Per gli Ermellini, infatti, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca del profitto illecito, deve essere sempre supportato da una motivazione chiara e dettagliata che giustifichi l'urgenza del provvedimento.

La decisione è stata quindi rinviata al Tribunale competente per una nuova valutazione del rischio di dissipazione dei beni sequestrati.

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