Per la configurazione del reato di autoriciclaggio non occorre che sia impedita del tutto l’identificazione dell’origine illecita del denaro. È sufficiente qualsiasi condotta che, anche solo in parte, ostacoli gli accertamenti. Questo vale anche se le operazioni finanziarie sono tracciabili.
Va inoltre escluso che, ai fini dell'integrazione del reato di autoriciclaggio, rilevi l'effettivo conseguimento di un utile.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25348 del 9 luglio 2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso una condanna per autoriciclaggio, confermando che la mera tracciabilità bancaria delle somme non esclude la configurabilità del reato.
La Seconda Sezione Penale della Cassazione, nella specie, ha rigettato il ricorso presentato avverso la sentenza della Corte di Appello, che aveva a sua volta confermato la condanna inflitta dal Tribunale.
L’imputato era stato condannato a tre anni di reclusione e alla multa di 7.000 euro per i reati di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) e di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.),
Tra le censure sollevate, il ricorrente aveva contestato, da un lato, la sussistenza del reato di autoriciclaggio, sostenendo l’assenza di condotte dissimulatorie e il mancato mutamento della formale titolarità delle somme; dall’altro, aveva denunciato un travisamento della prova e un vizio di motivazione in merito alla presunta destinazione speculativa dei fondi oggetto di contestazione.
La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso dell'imputato in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di autoriciclaggio.
La Cassazione ha in primo luogo ricordato come il reato di autoriciclaggio, previsto dall’art. 648-ter.1 c.p., è configurabile anche in assenza di schemi tipizzati, purché la condotta sia idonea a dissimulare l’origine delittuosa dei beni e ad ostacolarne l’accertamento.
Nella fattispecie in esame, i giudici di merito avevano correttamente rilevato la presenza di tali elementi, con motivazione coerente e priva di vizi logico-giuridici.
La Corte d'appello, con una motivazione conforme alle risultanze istruttorie e priva di vizi logici, aveva accertato che i proventi del reato di appropriazione indebita erano stati reimpiegati in operazioni di investimento mobiliare.
Le condotte contestate erano state correttamente qualificate come integranti il reato di autoriciclaggio, in ragione del loro carattere fraudolento e dissimulatorio nel trasferimento di denaro di origine delittuosa.
Era infondata, in tale contesto, la tesi difensiva secondo cui la tracciabilità bancaria e l’assenza di mutamento della formale titolarità delle somme di provenienza delittuosa escluderebbero l’idoneità delle condotte a ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa del denaro.
La Cassazione, sul punto, ha ribadito il principio secondo cui:
E ancora, in tema di operazione bancarie, rientra tra i comportamenti idonei a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro anche la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita. Ciò perché il denaro, essendo fungibile, viene di fatto sostituito con denaro pulito, che la banca è tenuta a restituire come equivalente.
Anche il trasferimento di fondi tra conti aperti presso banche diverse, in tale contesto, può rendere più difficile accertarne l’origine.
La norma sull’autoriciclaggio, del resto, mira a impedire che l’autore del reato presupposto disponga liberamente dei profitti illeciti, eludendo i controlli.
L’obiettivo è contrastare il reinserimento di tali proventi nel circuito economico legale, condotta che mette a rischio l’integrità e il corretto funzionamento dell’ordine economico.
Nel caso esaminato, le complesse operazioni finanziarie realizzate – tra cui investimenti in titoli, trasferimenti tra istituti bancari e successivi impieghi in immobili – avevano prodotto una progressiva trasformazione e reinserimento dei proventi illeciti nel circuito legale.
Tali condotte, mirate a dissimulare l’origine del denaro, integravano autoriciclaggio, distinguendosi dal mero godimento personale, non è punibile. Pertanto, non rilevavano né l’identità del titolare né l’eventuale mancata dispersione delle somme.
Infine, una precisazione: ai fini dell’autoriciclaggio, non è necessario che l’agente ottenga un utile.
Invero - ha sottolineato la Corte - l’art. 648-ter.1, comma 1, c.p. punisce non solo la sostituzione, ma anche il semplice impiego dei proventi illeciti. Ciò vale se le attività sono idonee, per natura e modalità, a ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa.
La Corte, in definitiva, ha riaffermato che:
Tali attività sono considerate strumenti di reinserimento nel circuito economico legale e pertanto riconducibili alla fattispecie di autoriciclaggio.
Sulla destinazione speculativa dei fondi
È stato ritenuto legittimo, ciò posto, il ragionamento dei giudici di merito che avevano valorizzato:
Con la sentenza n. 25348/2025, in definitiva, viene rafforzato l’orientamento secondo cui l’autoriciclaggio può sussistere anche in presenza di movimentazioni formalmente tracciabili, purché finalizzate a rendere più difficoltosa l’identificazione dell’origine illecita del denaro.
Il riferimento alla “destinazione speculativa” degli investimenti costituisce un ulteriore indice della volontà di occultamento e reinserimento nel circuito economico legale, elemento centrale per la configurabilità del reato di cui all’art. 648-ter.1 c.p.
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