E' il principio enunciato dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione nella sentenza n. 19049 depositata l'11 luglio 2025, nel pronunciarsi in tema di liquidazione delle spese processuali.
La Suprema Corte, con l'occasione, ha riaffermato l’obbligatorietà del rispetto dei parametri minimi previsti dal D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. 147/2022, in materia di compensi professionali forensi.
La pronuncia chiarisce i limiti di discrezionalità del giudice e ribadisce il principio dell’inderogabilità dei compensi minimi, anche in presenza di cause considerate “di particolare semplicità”.
La controversia trae origine da un’opposizione proposta avverso un accertamento dell’INPS riguardante il riconoscimento dell’assegno mensile di assistenza per soggetti con invalidità civile.
In primo grado, il Tribunale aveva accolto l’opposizione del cittadino, condannando l’Istituto al pagamento delle spese legali, ma liquidando i compensi dell’avvocato al di sotto dei minimi tabellari previsti dal decreto ministeriale vigente.
La motivazione addotta dal giudice era basata sulla “particolare semplicità della controversia”, che, a suo avviso, giustificava una liquidazione inferiore ai parametri minimi.
L’avvocato ha impugnato tale decisione in Cassazione, denunciando l’inosservanza delle norme sul giusto processo, sui parametri forensi e sull’equo compenso, in particolare l’art. 360 c.p.c., l’art. 111 Cost. e il D.M. 55/2014, come aggiornato.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del professionista, cassando la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale, in diversa composizione.
La Corte, nel motivare la propria decisione, ha ribadito che il giudice non può liquidare compensi professionali in misura inferiore ai minimi tariffari stabiliti, neppure invocando la semplicità della causa.
La discrezionalità giudiziale in materia di determinazione delle spese legali consente, al massimo, una riduzione del 50% rispetto ai valori medi previsti dalle tabelle, ma non autorizza in alcun caso a scendere al di sotto dei limiti minimi.
Tali parametri devono essere applicati in conformità con il principio dell’equo compenso, sancito dall’art. 13-bis della Legge professionale forense, il quale mira a garantire la dignità del lavoro dell’avvocato, tutelandone l’autonomia e l’indipendenza nello svolgimento dell’attività professionale.
Nel determinare le spese processuali a carico della parte soccombente - ha in definitiva evidenziato la Cassazione - il giudice non può in alcun modo ridurre i valori medi indicati nelle tabelle oltre il limite del 50 %.
La pronuncia si inserisce nel solco tracciato da precedenti decisioni della stessa Corte e si fonda su principi consolidati anche nel contesto europeo.
In particolare, è stata richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di compatibilità tra tariffe minime e diritto alla concorrenza, evidenziando che le norme nazionali volte a tutelare la qualità delle prestazioni e l’autonomia del professionista non violano i principi UE, purché proporzionate e giustificate da obiettivi legittimi.
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