Pagamenti PA ai professionisti: il no dei commercialisti al blocco dei compensi

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La disposizione contenuta nella Legge di Bilancio 2026, attualmente all’esame del Parlamento e già confermata in Commissione Bilancio del Senato, che subordina il pagamento dei compensi ai liberi professionisti da parte della Pubblica Amministrazione (PA) alla verifica della regolarità fiscale e contributiva, continua a suscitare forti perplessità nel mondo delle professioni.

Dopo la presa di posizione dell’Avvocatura, anche l'Associazione Nazionale Commercialisti (ANC) e il Consiglio Nazionale dei commercialisti intervengono chiedendo una modifica sostanziale, se non l’abrogazione, della norma, ritenuta ingiustamente vessatoria e discriminatoria.

Le criticità evidenziate dai professionisti

Secondo Elbano de Nuccio, Presidente Cndcec, la misura introdotta dalla manovra finanziaria presenta profili particolarmente penalizzanti per l’esercizio dell’attività professionale.

In primo luogo, viene sottolineata l’assenza di qualsiasi soglia minima di rilevanza delle irregolarità. In base alla norma, infatti, i compensi potrebbero essere bloccati anche in presenza di violazioni di importo irrisorio, nonostante la prestazione professionale sia stata regolarmente svolta e la Pubblica Amministrazione abbia comunque tratto beneficio dall’attività resa per il perseguimento dei propri fini istituzionali.

Aggravi procedurali e burocratici

Un ulteriore elemento critico riguarda l’introduzione di un sistema di verifica preventiva che coinvolge direttamente le amministrazioni committenti e i professionisti incaricati.

In particolare, la disposizione impone:

  • alla Pubblica Amministrazione, l’obbligo di verificare la regolarità fiscale e contributiva del professionista prima di procedere a ogni pagamento;
  • ai professionisti, la necessità di richiedere:
    • una certificazione di regolarità previdenziale alla Cassa di appartenenza (documento assimilabile al DURC);
    • un attestato di conformità fiscale all’Agenzia delle Entrate.

Secondo de Nuccio, questo meccanismo è destinato a tradursi in un ulteriore aggravio burocratico, con un aumento dei tempi di pagamento e un sovraccarico operativo per le amministrazioni deputate ai controlli, chiamate a garantire l’espletamento delle verifiche per ogni singolo incarico.

Profili di disparità di trattamento

La norma viene inoltre contestata per una evidente disparità di trattamento tra professionisti e dipendenti pubblici. Poiché la verifica fiscale precede ogni pagamento ed è prevista per qualsiasi tipologia di incarico – dalle consulenze ai progetti, fino alla rappresentanza legale – i liberi professionisti rischiano di essere discriminati rispetto ai funzionari pubblici non dirigenti, i quali continuano a percepire la retribuzione indipendentemente dalla propria posizione fiscale.

Una criticità già evidenziata anche dall’ANC, che ha parlato di un possibile “corto circuito giuridico”, nel quale la Pubblica Amministrazione finisce per assumere un ruolo improprio di giudice della regolarità del professionista, con potenziali profili di violazione del principio di legalità e della tutela costituzionale del lavoro autonomo.

La richiesta di modifica o abrogazione della norma

Alla luce delle criticità illustrate, Professionisti Insieme chiede l’abolizione della previsione normativa, ritenuta dannosa non solo per i professionisti, ma anche per il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione.

Secondo il Presidente de Nuccio, la disposizione “determinerebbe effetti gravemente pregiudizievoli per il libero esercizio delle professioni, con inevitabili ritardi, incertezze e contenziosi nei rapporti con le amministrazioni pubbliche”, compromettendo l’efficienza dei rapporti contrattuali e la certezza dei pagamenti.

Una posizione che si affianca a quella già espressa dall’ANC e da altre rappresentanze professionali, rafforzando la richiesta di un intervento correttivo in sede parlamentare sulla norma contenuta nella Legge di Bilancio 2026.

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