Corruzione continuata, misura cautelare confermata

Pubblicato il 18 novembre 2014 La Cassazione, con la sentenza n. 47271 del 17 novembre 2014, si è pronunciata per quel che concerne il rapporto tra articolo 318 e l'articolo 319 del Codice penale, alla luce del mutato quadro normativo determinato dalla Legge n. 190 del 2012 (Legge Severino) e nell'ambito di una vicenda di corruzione relativa ai lavori di realizzazione del Mose di Venezia.

Secondo la Corte, in particolare, l'articolo 38 del Codice penale non coprirebbe integralmente l'area della vendita della funzione, ma soltanto quelle situazioni in cui non sia noto il finalismo del suo mercinomio o in cui l'oggetto di questo sia rappresentato da un atto dell'ufficio.

In tale contesto, residuerebbe un'area di applicabilità dell'articolo 319 quando la vendita della funzione sia connotata da uno o più atti contrari ai doveri d'ufficio, accompagnati da indebite dazioni di denaro o prestazioni d'utilità, sia antecedenti che susseguenti rispetto all'atto tipico.

Nel caso specificamente esaminato, è stata confermata l'individuazione operata dai giudici di prime cure di un unico reato, quello di corruzione continuata, in una fattispecie al confine tra l'applicabilità del concorso di norme sullo stesso fatto ed il concorso materiale di reati.

Secondo la Corte, dinanzi ad una condotta prolungata nel tempo di un pubblico ufficiale il quale, dietro pagamento, abbia vanificato la sua funzione di controllo nell'acquisizione di forniture pubbliche, è corretto che il giudice di merito ravvisi una vendita della funzione, quale mercinomio della discrezionalità da parte del soggetto, in luogo di una pluralità di episodi di corruzione uniti in continuazione, con conseguente correttezza della mancata dichiarazione di prescrizione per alcune porzioni della condotta medesima.
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