La sanzione per un comportamento illecito non è deducibile dal reddito

Pubblicato il 27 aprile 2011 Le sanzioni inflitte dall'Antitrust, sebbene calcolate in proporzione al fatturato, hanno natura puramente amministrativa e una funzione “afflittiva e deflattiva”. Le stesse, dunque, servono unicamente per fungere da deterrente di futuri e analoghi illeciti e non sono direttamente associabili alla produzione di reddito, soprattutto con riferimento all'anno in cui vengono irrogate e pagate. Per tali ragioni: “pretendere che l'entità di tale sanzione costituisca un costo deducibile dal reddito imprenditoriale significherebbe neutralizzare la ratio punitiva della penalità, trasformandola in un risparmio d'imposta, cioè in un “premio” per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme antitrust”.

Questo è il principio che si desume dalla sentenza 8135/2011, depositata lo scorso 11 aprile dalla Sezione tributaria della Corte di Cassazione. La recente pronuncia fa seguito all’ordinanza di alcuni mesi fa – la n. 600/2011 – in cui gli ermellini avevano già ribadito l’indeducibilità delle sanzioni comminate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Il carattere afflittivo delle sanzioni è stato condiviso anche dalla stessa Amministrazione finanziaria, che in alcuni documenti di prassi ha specificato che le sanzioni antitrust sono indeducibili “in quanto trattasi di oneri non inerenti all’attività di impresa. L’irrogazione della sanzione è infatti una conseguenza del comportamento illecito tenuto dal contribuente” (circolare 98/2009 e risoluzione 89/2001).
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