L'attività illecita non sfugge al Fisco

Pubblicato il 18 gennaio 2010

Nel caso in cui il commercialista si appropri delle somme ricevute dal cliente senza riversarle all’erario, tali profitti illeciti sono soggetti a tassazione. Lo ha stabilito l’ordinanza n. 37 del 5 gennaio 2010 della Corte di cassazione che ha affermato la retroattività della disposizione di legge contenuta nell’articolo 36, comma 34-bis del Dl 223/2006, la quale dispone che quando risulta impossibile inquadrare i proventi illeciti in una delle categorie reddituali previste dall'articolo 6 del TUIR, si possono far rientrare nell’ambito dei redditi diversi.

Quindi il Decreto Legge n. 223 del 2006 deve considerarsi norma di interpretazione autentica ed applicabile anche per i fatti avvenuti ante 2006. Fino all’approvazione di tale norma i proventi illeciti che non potevano essere riferiti ad una categoria reddituale dell’articolo 6 del Dpr 917/86, rimanevano esclusi da ogni imposizione.

Pertanto la Corte di cassazione ha convalidato gli accertamenti Irpef ed Ilor per gli anni 1996/1999 emessi nei confronti del professionista.

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