Legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore che ha tenuto comportamenti ritenuti gravemente lesivi dei doveri contrattuali e delle norme di condotta previste dal CCNL del Terziario.
Con l’ordinanza n. 16925 del 24 giugno 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa di un lavoratore comminato a fronte di condotte ritenute gravemente contrarie ai doveri contrattuali e alle regole di corretto comportamento nei rapporti di lavoro.
Il contesto fattuale
La vicenda prende avvio da una contestazione disciplinare nella quale al lavoratore venivano addebitati alcuni fatti occorsi due giorni prima, ritenuti rilevanti sotto il profilo disciplinare.
Secondo quanto esposto, il dipendente avrebbe rivolto un'espressione volgare nei confronti di un proprio superiore, in presenza di un altro collega. In un primo momento avrebbe negato l'accaduto, ammettendolo solo dopo l’intervento di un testimone.
Successivamente avrebbe rifiutato, con modalità ritenute provocatorie, di restituire una fotocopia di un documento aziendale. Infine, si sarebbe avvicinato al superiore in modo considerato minaccioso, ponendogli una domanda allusiva circa una possibile reazione fisica.
Nella lettera di contestazione, tali comportamenti venivano qualificati come grave insubordinazione e violazione dell’art. 220 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del Terziario, relativo ai doveri di correttezza nei rapporti interpersonali sul luogo di lavoro.
A questi episodi si aggiungeva il richiamo a un comportamento analogo avvenuto due anni prima, anch’esso oggetto di valutazione nel procedimento disciplinare.
L’esito del giudizio
Il licenziamento era stato impugnato dal lavoratore, ma:
La Corte di Cassazione ha a sua volta respinto il ricorso, ritenendo corretta la valutazione svolta dai giudici di merito.
Secondo la Cassazione, i comportamenti contestati possono essere ricondotti alla nozione di insubordinazione accompagnata da comportamento oltraggioso, di cui all’art. 229 del CCNL Terziario, che giustifica il recesso senza preavviso nei casi in cui non sia possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Contenuto e validità della contestazione disciplinare
La Corte ha ritenuto che la contestazione fosse sufficientemente specifica, pur in assenza di un esplicito riferimento all’art. 229 del CCNL. I fatti risultavano descritti con chiarezza e idonei a consentire al lavoratore di esercitare il proprio diritto di difesa, in coerenza con l’art. 7 della Legge n. 300/1970.
Utilizzo di dichiarazioni scritte di terzi
È stato ritenuto legittimo l’utilizzo, a fini istruttori, di dichiarazioni scritte rilasciate da terzi, non assunte formalmente come prove testimoniali. La Corte ha richiamato la giurisprudenza che consente l’impiego di prove atipiche, se valutate criticamente insieme ad altri elementi e in assenza di contestazioni sulla loro provenienza.
Rilevanza di episodi pregressi
È stata giudicata ammissibile la valutazione, anche in chiave integrativa, di un episodio analogo precedente, richiamato nella lettera di contestazione, ai fini della valutazione complessiva della condotta e della rottura del vincolo fiduciario.
La Suprema Corte ha confermato che, in presenza di condotte manifestamente contrarie ai doveri di correttezza e rispetto gerarchico, e qualora tali condotte siano ritenute gravi anche alla luce di eventuali precedenti, il licenziamento per giusta causa può considerarsi legittimo. L’ordinanza chiarisce inoltre che:
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