Minori condannati per reati ostativi: benefici anche senza collaborazione

Pubblicato il 09 dicembre 2019

E’ illegittima la norma del nuovo Ordinamento penitenziario minorile che esclude le misure penali di comunità e i permessi premio ai detenuti minorenni, condannati per un reato ostativo, che non abbiano collaborato con la giustizia.

Lo ha stabilito la Consulta con sentenza n. 263 del 6 dicembre 2019, giudicando fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria e relativa all’articolo 2, comma 3, del Decreto legislativo n. 121/2018 (Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni), per asserita violazione degli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 31, secondo comma, 76 e 117, primo comma, della Costituzione.

La disposizione censuata prevede che, ai fini della concessione delle misure penali di comunità e dei permessi premio e per l’assegnazione al lavoro esterno, si applica, ai detenuti minorenni, l’art. 4-bis, commi 1 e 1-bis, della Legge n. 354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), ai sensi del quale la concessione dei benefici penitenziari è concessa ai condannati per taluni delitti, espressamente indicati, solo nei casi in cui gli stessi collaborino con la giustizia.

Presunzione assoluta di pericolosità impedisce valutazione individuale

I giudici costituzionali hanno ritenuto che il meccanismo preclusivo contenuto nella citata previsione si ponga in contrasto, in primo luogo, con i principi indicati nella Legge delega n. 103/2017, di riforma dell’ordinamento penitenziario, che imponeva di ampliare i criteri di accesso alle misure alternative alla detenzione e di eliminare qualsiasi automatismo nella concessione dei benefici penitenziari ai detenuti minori.

Inoltre, l’automatismo legislativo in essa indicato si basa su una presunzione assoluta di pericolosità, fondata solo sul titolo di reato commesso e che impedisce, ciò posto, alla magistratura di sorveglianza, di procedere con una valutazione individualizzata dell’idoneità della misura rispetto alle preminenti finalità di risocializzazione.

Tutto questo – ha concluso la Corte costituzionale - senza considerare che solamente attraverso il necessario vaglio giudiziale è possibile tenere conto, ai fini dell’applicazione dei benefici penitenziari, delle ragioni della mancata collaborazione, delle condotte concretamente riparative e dei progressi compiuti nell’ambito del percorso riabilitativo del detenuto.

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