Mobbing, la dequalificazione non è sufficiente

Pubblicato il 10 marzo 2021

L'elemento qualificante del mobbing non va ricercato nell'illegittimità dei singoli atti posti in essere dal datore di lavoro, bensì nell'intento persecutorio che li unifica, sicché la mera dequalificazione o le plurime condotte illegittime del datore di lavoro non sono condizione sufficiente per configurare la siffatta ipotesi, essendo necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori elementi concreti, che i comportamenti datoriali siano frutto di un disegno persecutorio unificante e preordinato alla prevaricazione.

Tali conclusioni, giunte con l'ordinanza della Corte di Cassazione 4 marzo 2021, n. 6079, a seguito di ricorso proposto dal lavoratore in opposizione alle sentenze dei giudici di merito, confermano quanto evidenziato dalla Corte d'Appello e dalla giurisprudenza secondo cui ai fini della configurabilità della condotta lesiva rilevano i seguenti elementi:

Certamente, l'onere della prova, in applicazione del principio di cui all'art. 2697, Cod. Civ., ricade sul lavoratore che deve provare rigorosamente la sistematicità della condotta e la sussistenza dell'intento emulativo o persecutorio.

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