Nella bancarotta impropria vale l’aggravante

Pubblicato il 10 gennaio 2012 La Corte di cassazione, con la sentenza n. 121 del 9 gennaio 2012, ha stabilito l’applicabilità dell’aggravante del danno di rilevante entità ai fatti ascritti al commercialista e all’avvocato, consulenti di un'azienda in difficoltà, che hanno contribuito a determinare la bancarotta fraudolenta della stessa, spogliandola di liquidità attraverso la costituzione di società che hanno rastrellato beni e attività dell’azienda in fallimento destinati ai creditori. Entrambi i consulenti avevano il doppio ruolo di consulente della cedente dei beni e di dominus della cessionaria.  

Nella difesa degli imputati, tra i punti contestati si sosteneva, con rimando alla sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 21039 del 2011, che l’aggravante del danno rilevante non potesse essere applicata al reato di bancarotta impropria poiché non si può procedere per analogia in bonam partem in caso di malam partem (le norme penali che dispongono un trattamento in senso peggiorativo a carico del reo, non sono soggette a interpretazione analogica).

Di contro, gli ermellini spiegano che non si tratta di interpretazione analogica (da attuare in caso di lacuna normativa) ma sistematica, in quanto la lacuna è solo apparente. Infatti: “è di tutta evidenza che l'articolo 223 della LF, nella prima parte, fa riferimento, per descrivere la condotta e per individuare il regime sanzionatorio, all'articolo 216 della medesima legge; nella seconda parte (...) descrive ulteriori condotte addebitabili ai soggetti di cui al primo comma; orbene, poiché però, l'art 216 rinvia - per quel che riguarda le specifiche attenuanti e aggravanti - all'art. 219 LF, è inevitabile che tale rinvio “interessi” anche l'articolo 223”.
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