La mancata conservazione informatica della cosiddetta "copia madre" delle fatture emesse ai clienti configura, più che una condotta di distruzione, un’ipotesi di occultamento documentale.
In tale circostanza, l’imputato non ha materialmente soppresso un documento fiscale, ma ha omesso di renderlo disponibile, sottraendolo alla registrazione e conservazione nel registro IVA delle vendite, come previsto dagli obblighi contabili a carico dell’emittente.
Con la sentenza n. 28910, depositata il 6 agosto 2025, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di reati tributari, con particolare riferimento all’art. 10 del Decreto legislativo n. 74/2000, che disciplina le ipotesi di occultamento o distruzione di documenti contabili.
La pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza di legittimità, fornendo ulteriori chiarimenti sulla configurabilità del reato anche in assenza di documentazione informatica e sulla distinzione tra le condotte di distruzione e di occultamento.
Il contesto fattuale e processuale
Il procedimento trae origine da una verifica fiscale condotta dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un imprenditore, da cui è emersa l’assenza di documentazione relativa a 118 fatture (70 emesse nel 2014 e 48 nel 2015). Le fatture risultavano non registrate nella contabilità e non rinvenibili né in formato cartaceo né elettronico, ad eccezione di alcune recuperate presso clienti.
Il Tribunale, in primo grado, ha condannato l’imputato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, con sospensione condizionale. La Corte di Appello, in sede di gravame, ha confermato la responsabilità penale, concedendo le attenuanti generiche e il beneficio della non menzione.
Gli addebiti contestati
All’imputato è stato contestato di aver occultato o distrutto documenti contabili obbligatori, allo scopo di evadere le imposte. In particolare, si trattava di fatture emesse ma non conservate, non registrate in contabilità e non dichiarate fiscalmente.
Le censure proposte nel ricorso per cassazione
Il ricorrente ha contestato la configurabilità del reato, sostenendo che le fatture erano solo stampate e mai salvate digitalmente, escludendo così l’occultamento o la distruzione. Inoltre, ha eccepito un vizio di motivazione nella sentenza d’appello, accusata di aderire acriticamente alla decisione di primo grado senza sviluppare un'autonoma argomentazione.
La Corte ha trattato congiuntamente i motivi di ricorso, ritenuti unitari, e ha confermato la sentenza di secondo grado ritenendo la motivazione espressa dai giudici di merito, coerente e priva di vizi logici o giuridici.
Nella propria disamina, la Cassazione ha richiamato l’orientamento secondo cui il reato di occultamento di documenti contabili può configurarsi anche in assenza di una condotta attiva di distruzione, quando l’agente impedisca dolosamente la conservazione o la rintracciabilità dei documenti obbligatori.
Nel caso di specie, la mancata registrazione contabile delle fatture, unitamente all’assenza di ogni forma di conservazione cartacea o digitale, è stata ritenuta idonea a integrare l’occultamento documentale con finalità evasive.
Irrilevanza della mancata conservazione digitale
In tale contesto, l’argomentazione difensiva per cui le fatture non sarebbero state “distrutte” in quanto mai salvate digitalmente è stata ritenuta non condivisibile.
In particolare, la scelta di non conservare traccia alcuna delle fatture – né cartacea né elettronica – è stata considerata manifestazione della volontà di impedire l’accertamento del reale volume d’affari, concretizzando la condotta tipica dell’art. 10.
Differenze tra distruzione e occultamento ai fini penali
La pronuncia distingue tra la distruzione – quale eliminazione fisica di documenti esistenti – e l’occultamento, che può consistere anche in una condotta omissiva o elusiva volta a rendere i documenti indisponibili. Entrambe le ipotesi sono sanzionate dall’art. 10, purché finalizzate a ostacolare le attività di controllo.
Momento consumativo e decorso della prescrizione
Le due condotte - spiega la Cassazione - si distinguono sotto il profilo del momento consumativo del reato. La distruzione comporta l’eliminazione fisica di documenti ed è un reato istantaneo, che si perfeziona nell’atto stesso della soppressione. L’occultamento, invece, può consistere anche in condotte omissive o elusive volte a rendere i documenti indisponibili e si configura anch’esso come reato istantaneo, ma con effetti che possono protrarsi nel tempo, incidendo sulla decorrenza della prescrizione.
Nel caso in esame, era legittimo che la Corte di merito avesse qualificato la condotta come occultamento e non distruzione, in quanto le fatture risultavano stampate e consegnate ma non conservate né registrate, rendendole di fatto irrintracciabili.
La finalità evasiva è stata desunta dalla sistematicità della condotta e dalla mancata dichiarazione fiscale dei relativi importi.
Conseguenze sanzionatorie per il ricorrente
Il ricorso, pertanto, è stato dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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