Operare nel cassetto fiscale altrui senza titolo è reato

Pubblicato il 20 ottobre 2025

Confermata la condanna penale per esercizio abusivo della professione e accesso abusivo a sistema informatico nei confronti di un consulente che aveva attivato un cassetto fiscale a nome di una cliente mediante una delega falsificata, operando come commercialista ma senza abilitazione.

Cassetto fiscale: reato per chi opera spacciandosi per commercialista

Con la sentenza n. 33866 del 15 ottobre 2025, la Corte di Cassazione, Sezione V Penale, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un consulente, penalmente condannato per esercizio abusivo della professione di commercialista (art. 348 c.p.) e accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter c.p.).

La Corte ha confermato la condanna pronunciata in appello a nove mesi di reclusione e 10.500 euro di multa, oltre al risarcimento delle spese legali a favore della parte civile.

I fatti accertati  

L’imputato aveva instaurato un rapporto professionale con una titolare d’impresa, presentandosi come dottore commercialista. Per anni aveva gestito la contabilità, predisposto e trasmesso le dichiarazioni fiscali, e curato gli adempimenti previdenziali e assicurativi dei dipendenti.

Nel corso di una verifica dell’Agenzia delle Entrate, la cliente aveva scoperto che le dichiarazioni fiscali presentate differivano dalle copie ricevute e che era stato attivato un “cassetto fiscale” a suo nome mediante una delega falsificata.

Inoltre, l’imputato aveva presentato dichiarazioni integrative senza autorizzazione, rendendosi poi irreperibile e trattenendo la documentazione contabile.

Le motivazioni del ricorso  

La difesa aveva sostenuto che l’attività svolta rientrasse in quella del tributarista, figura riconosciuta dalla legge sulle professioni non organizzate, e che pertanto non si trattasse di esercizio abusivo.

Inoltre, aveva contestato la configurabilità del reato di accesso abusivo a sistema informatico, poiché l’imputato avrebbe operato con il consenso implicito della cliente. Infine, veniva richiesto il riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di lieve entità (art. 623-quater c.p.).

La valutazione della Cassazione  

La Suprema Corte ha respinto ogni motivo di ricorso, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui:

“Integra il reato di esercizio abusivo di una professione il compimento, senza titolo, di atti che, pur non riservati in via esclusiva, sono svolti con continuità e organizzazione tali da creare l’apparenza di un’attività professionale regolare”.

Nel caso di specie, l’imputato non si era limitato alla mera compilazione delle dichiarazioni fiscali, ma aveva assunto il ruolo e l’immagine di un professionista abilitato, gestendo in autonomia l’intera contabilità aziendale e i rapporti con gli enti previdenziali.

La Corte ha ritenuto irrilevante la tesi difensiva sull’esistenza di un consenso implicito: la falsificazione della delega per l’apertura del cassetto fiscale e la successiva gestione autonoma del servizio configuravano pienamente la condotta sanzionata dall’art. 615-ter c.p.

L’esclusione dell’attenuante della lieve entità  

La Cassazione, infine, ha escluso anche la possibilità di riconoscere la circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità, sottolineando la gravità e la durata pluriennale delle condotte, nonché il danno economico e reputazionale arrecato alla persona offesa.

I principi affermati  

La sentenza n. 33866/2025 ribadisce tre principi di diritto di rilievo:

Corretto esercizio delle professioni regolamentate

La pronuncia della Corte di Cassazione si inserisce nel solco di un orientamento volto a tutelare il corretto esercizio delle professioni regolamentate e la fiducia dei cittadini nei rapporti con i professionisti.

La decisione n. 33866/2025 riafferma che solo chi è regolarmente abilitato può esercitare funzioni proprie delle professioni contabili, anche quando le attività, prese singolarmente, non siano formalmente riservate.

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