Periodo di comporto non superato? Illegittimo il recesso per troppe assenze

Pubblicato il 28 aprile 2023

Il recesso connesso all'elevata morbilità del lavoratore è legittimo unicamente se si realizza la condizione del superamento del periodo di comporto.

Ne discende che un rendimento inadeguato alle esigenze aziendali o un disservizio cagionato dalle assenze per malattia non possono legittimare, da soli, il licenziamento del lavoratore malato prima che sia stato superato il periodo massimo di conservazione del posto di lavoro.

Lo ha puntualizzato la Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 11174 del 27 aprile 2023, nel confermare la decisione con cui la Corte d'appello aveva dichiarato illegittimo il licenziamento comminato ad un lavoratore, in ragione della non proficuità della prestazione lavorativa resa, viste le modalità e il rilevante numero delle assenze per malattia.

Secondo la Corte di merito, il licenziamento in parola, intimato in relazione alle numerose assenze per malattia del prestatore, era da ricondurre nella fattispecie del recesso per giustificato motivo oggettivo, posto che la condotta tenuta dal lavoratore era lecita e priva di colpa.

Tali assenze per malattia, tuttavia, non potevano essere considerate rilevanti ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro, atteso che, comunque, non era stato superato il periodo di comporto, limite oltre il quale il danno si presume come apprezzabile.

Troppe assenze per malattia non legittimano il licenziamento per scarso rendimento

Conclusioni, queste, alle quali ha aderito anche la Suprema corte.

Il licenziamento connesso all'elevata morbilità del lavoratore - ha precisato il Collegio di legittimità - è qualificabile come un particolare tipo di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, collegato, da un lato, all'esistenza di una o più malattie e, dall'altro, al fatto oggettivo del tempo complessivamente trascorso in malattia.

È l'esaurimento del periodo di comporto che, di per sé, giustifica la risoluzione del rapporto di lavoro.

Difatti, le norme speciali che regolano il comporto sono finalizzate a preservare il rapporto di lavoro durante la malattia del lavoratore, impedendo al datore di lavoro di porvi unilateralmente fine per il tempo - predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice - di tollerabilità dell'assenza.

L'unica condizione di legittimità del recesso - si legge quindi nella decisione - è quel superamento del periodo di comporto, espressione del contemperamento degli interessi confliggenti del datore di lavoro e o del lavoratore.

E' stata giudicata corretta, in definitiva, la valutazione operata dalla Corte territoriale, secondo la quale il mancato superamento del periodo di comporto escludeva, di per sé, la legittimità del recesso intimato in ragione delle frequenti e ripetute assenze dovute a malattia.

In tale prospettiva, era irrilevante anche considerare in che modo l'alternarsi della malattia ai periodi di presenza sul lavoro avesse potuto incidere sull'efficienza dell'organizzazione datoriale e sui risultati da conseguire.

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