Il professionista cancellato da Cassa Forense per accertata incompatibilità ha diritto alla restituzione dei soli contributi soggettivi, mentre i contributi integrativi, in quanto espressione della funzione solidaristica del sistema previdenziale, non sono suscettibili di rimborso.
Con l’ordinanza n. 28979 del 3 novembre 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, è intervenuta su una questione di particolare interesse per gli avvocati iscritti alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (Cassa Forense): la restituzione dei contributi versati nel periodo in cui il professionista è stato cancellato dalla Cassa per incompatibilità con l’esercizio della professione.
La Suprema Corte ha ribadito che solo i contributi soggettivi possono essere oggetto di rimborso, non quelli integrativi, in quanto questi ultimi rispondono a una funzione solidaristica e non sono collegati al diritto individuale a prestazioni previdenziali.
Un professionista, cancellato dalla Cassa Forense per accertata incompatibilità con l’esercizio della professione, aveva richiesto la restituzione dei contributi integrativi versati nel periodo di cancellazione (2001–2004).
Il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda, condannando la Cassa al rimborso dell’importo versato; la Corte d’appello di Milano aveva successivamente confermato la decisione.
La Cassa ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che:
La disciplina previdenziale forense, introdotta con la legge n. 576 del 1980, definisce con chiarezza le diverse tipologie di contribuzione dovute dagli avvocati iscritti alla Cassa Forense. In particolare:
La normativa non prevede alcun diritto al rimborso dei contributi integrativi, neppure nei casi di cancellazione o accertata incompatibilità dell’iscritto.
Secondo la giurisprudenza consolidata, inoltre, i contributi integrativi perseguono una finalità solidaristica: finanziano l’intero sistema previdenziale della categoria e non danno luogo a diritti individuali.
Pertanto, anche qualora l’iscrizione alla Cassa risulti successivamente inefficace, la somma versata mantiene la sua natura di contribuzione legittima e non indebitamente percepita.
La Suprema Corte, nel cassare la decisione impugnata, ha enunciato il seguente principio di diritto:
“In caso di cancellazione del professionista dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense per accertata incompatibilità, l’obbligo di rimborso concerne soltanto i contributi soggettivi, non anche i contributi integrativi, per i quali non è previsto il diritto alla restituzione, in coerenza con la funzione solidaristica degli stessi.”
Nella propria analisi, la Corte di Cassazione ha chiarito che i contributi integrativi trovano il loro fondamento nell’iscrizione all’Albo professionale e devono essere versati per ogni prestazione resa, a prescindere dall’iscrizione alla Cassa Forense.
La loro legittimità non viene meno in presenza di una causa di incompatibilità, poiché l’attività professionale esercitata fino alla cancellazione resta valida sotto il profilo giuridico.
La Corte ha inoltre escluso l’applicazione dell’art. 2033 del codice civile, osservando che non si configura un indebito oggettivo, e ha precisato che l’art. 22 della legge n. 576/1980 prevede il rimborso solo dei contributi soggettivi e non anche di quelli integrativi.
La Corte, come anticipato, ha richiamato un orientamento ormai consolidato (tra le altre, Cass. n. 14883/2020), ribadendo che la non ripetibilità dei contributi integrativi è coerente con il principio costituzionale di solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione.
La Corte di Cassazione, in definitiva, ha accolto il ricorso della Cassa Forense, stabilendo che il professionista cancellato per accertata incompatibilità ha diritto alla restituzione dei soli contributi soggettivi.
I contributi integrativi, invece, non sono rimborsabili poiché rivestono natura solidaristica e concorrono al finanziamento generale del sistema previdenziale forense.
La sentenza d’appello è stata quindi cassata, con rigetto della domanda di rimborso proposta dal professionista.
Con l’ordinanza n. 28979/2025, in definitiva, gli Ermellini confermano la non ripetibilità dei contributi integrativi versati alla Cassa Forense, riaffermandone la funzione solidaristica e il collegamento con l’iscrizione all’Albo professionale.
La decisione rafforza un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, offrendo certezza interpretativa sia agli iscritti sia agli organi gestionali della previdenza forense.
In tal modo, la Corte ribadisce il principio secondo cui la solidarietà costituisce un elemento strutturale e non reversibile del sistema previdenziale di categoria.
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