Prostituzione, scelta mai pienamente libera

Pubblicato il 08 giugno 2019

La Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’appello di Bari per quanto riguarda le disposizioni della Legge n. 75/1958 (“Legge Merlin”) che puniscono il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione.

Nel dettaglio, la Corte rimettente aveva censurato l’articolo 3, primo comma, numeri 4), prima parte, e 8), della citata legge sull’abolizione della regolamentazione della prostituzione e la lotta contro lo sfruttamento altrui, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, 27 e 41 della Costituzione.

Reclutamento e favoreggiamento della prostituzione, reato confermato

I giudici di Bari, ossia, hanno dubitato della legittimità costituzionale della previsione che configura come illecito penale le condotte indicate di reclutamento e di favoreggiamento della prostituzione, anche quando si tratti di prostituzione liberamente e volontariamente esercitata.

Con sentenza n. 141 del 7 giugno 2019, la Corte costituzionale ha giudicato infondata la relativa questione, evidenziando, in particolare, che le incriminazioni in oggetto mirano a tutelare i diritti fondamentali delle persone vulnerabili e la dignità umana.

Questo perché - si legge nel testo della decisione - in questa materia, “il confine tra decisioni autenticamente libere e decisioni che non lo sono è spesso labile e sfumato”.

Difatti, al di là dei casi di “prostituzione forzata”, la scelta di “vendere sesso” è quasi sempre determinata da fattori - che possono essere di ordine economico, affettivo, familiare e sociale - limitativi della libertà di autodeterminazione dell’individuo.

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