Quando la vessazione del capo diventa mobbing

Pubblicato il 03 giugno 2008 La VI sezione del Consiglio di Stato, con decisione n. 2015/2008, è intervenuta per meglio definire il termine “mobbing” rivolgendosi, in particolare, all'ambiente scolastico, ambiente in cui risultano sempre più frequenti denunce per comportamenti vessatori.

In proposito, anche l'art. 98 del contratto collettivo scuola, sottoscritto lo scorso 29 novembre, precisa che il “mobbing” si sostanzia in atti aggressivi, denigratori o vessatori ripetuti nel tempo ed in modo sistematico, tali da compromettere la salute, la professionalità e la dignità del dipendente di lavoro.

Il Consiglio non si è molto discostato da tale definizione intendendo per “mobbing” l'insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione, finalizzata all'emarginazione del dipendente, indipendentemente dall'inadempimento di precisi obblighi contrattuali o di norme attinenti alla tutela del lavoratore.

In ogni caso, secondo la giurisprudenza, la lesione del bene protetto deve essere verificata in considerazione dell'idoneità offensiva della condotta, mentre il riconoscimento per il lavoratore del risarcimento dei danni (professionale, biologico ed esistenziale) non può prescindere dalla prova del pregiudizio subito dallo stesso “con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento”.
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