Respinta la questione di legittimità sulla quantificazione dell’assegno divorzile

Pubblicato il 12 febbraio 2015 Con sentenza n. 11 depositata l'11 febbraio 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata da un Tribunale coinvolto in un giudizio di divorzio, relativa all’art. 5, sesto comma Legge 898/1970 (così come modificato per effetto della Legge n. 74/1987), il quale prevede che, mediante l’assegno di divorzio, debba essere garantito al coniuge economicamente più debole, il medesimo tenore di vita di cui godeva in costanza di matrimonio.

Le censure sollevate riguardavano innanzitutto il presunto contrasto della normativa in questione, con l’art. 3 della Cost., in quanto avrebbe proiettato il “tenore di vita” in costanza di matrimonio, in aperta contraddizione con lo scopo proprio del divorzio, ben oltre l’orizzonte matrimoniale.

Veniva altresì sollevato il contrasto con l’art. 2 Cost.per eccesso” di dovere di solidarietà, nonché con l’art. 29 Cost., poiché avrebbe rappresentato una concezione di matrimonio del tutto anacronistica.

Nel respingere le censure di legittimità, la Corte Costituzionale ha sottolineato come in realtà “il tenore di vita” a cui si riferisce la norma in questione, non costituisce l’unico parametro in base al quale quantificare l’assegno divorzile, determinandone esclusivamente il “tetto massimo” in astratto.

“In concreto” invece, tale parametro va poi bilanciato, caso per caso, con ulteriori criteri nel medesimo articolo individuati (ad esempio, condizioni di reddito dei coniugi, contributo personale alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, motivi di scioglimento), che possono agire come fattori di moderazione e diminuzione della somma in astratto considerata e valere addirittura ad azzerarla.
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