Se c’è buona fede non c’è partecipazione al “carosello fiscale”

Pubblicato il 18 aprile 2011 Nessuna pretesa erariale può essere avanzata nei confronti di una società che in buona fede ha sostenuto degli acquisti verso un gruppo di imprese coinvolte in operazioni definite di “carosello fiscale”: cioè, operazioni effettuate in stretta collaborazione tra di loro con il puro scopo di creare delle manovre fraudolente nei confronti del Fisco.

Con tale motivazione, un’impresa, che aveva ricevuto un avviso di accertamento con cui l’ufficio voleva recuperare a tassazione costi non riconosciuti per operazioni effettuate nei confronti di una terza società, ritenute non esistenti per l’utilizzo di fatture soggettivamente fittizie, ricorre dinanzi ai giudici provinciali lombardi.

La Ctp di Milano accoglie il ricorso e, con la sentenza 47/07/2011, sostiene che dal Pvc da cui era scaturito l’atto di accertamento non risultava alcun elemento che potesse far pensare che la società ricorrente avesse tratto vantaggio da un'operazione di “carosello fiscale”. Inoltre, la buona fede del ricorrente è palese, avendo pagato a volte prezzi anche superiori a quelli di mercato e in nessun caso emerge un vantaggio personale da tali operazioni tanto da poter essere valutato come un indicatore del progetto di evadere l’Iva (acquisto ad un prezzo inferiore a quello normale praticato).

Di qui, la conclusione dei giudici lombardi che sostengono un principio della Corte di Giustizia Ue, secondo cui in base alla neutralità fiscale dell’Iva, i soggetti che sono in buona fede non possono subire limitazioni al diritto di detrazione dell’imposta.
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