Stalking: vietato avvicinarsi ai luoghi frequentati, se ben specificati

Pubblicato il 07 febbraio 2015 Nel reato di atti persecutori, l’ordinanza cautelare che vieta l’avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, deve essere sufficientemente specifica.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con sentenza n. 5664 depositata il 6 febbraio 2015, in accoglimento del ricorso presentato da un soggetto indagato per il reato di atti persecutori.

Quest’ultimo, in particolare, impugnava l’ordinanza con cui il Gip gli aveva vietato, in via cautelare, di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, poiché riteneva tale misura eccessivamente indeterminata.

La Cassazione, con la pronuncia in esame, ha pienamente condiviso tale assunto.

Invero, quanto alla misura cautelare in oggetto, è dato preciso avvertimento al giudice, di individuare in maniera specifica il luogo a cui l’autore del reato non deve avvicinarsi.

Ciò risponde essenzialmente ad una duplice esigenza: quella pratica, ovvero, di rendere noti all’obbligato i luoghi a lui interdetti per una migliore praticabilità della misura medesima; quella di giustizia, ovvero, di contenere al minimo le limitazioni imposte all’indagato, nei limiti strettamente necessari per la tutela della vittima.

Alla luce di ciò la Cassazione, nel disporre l’annullamento dell’ordinanza in questione per eccessiva genericità dei luoghi indicati, suggerisce - tra le righe - al giudice del rinvio, l’applicazione al caso di specie del più generico “divieto di avvicinarsi alla vittima”.
 
Stante la reiterata, persistente ed invasiva ricerca, da parte dell’indagato, di un contatto con la vittima ovunque si trovi, pare infatti più opportuno incentrare la tutela sulla stessa persona offesa piuttosto che sui luoghi da questa frequentati.
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