Studi di settore. Non si può ridurre la pretesa tributaria sulla base di un giudizio “equitativo”

Pubblicato il 28 maggio 2011 Ad un medico oculista che svolge sia l’attività di lavoro autonomo che di dipendente Asl, era stato notificato un avviso di accertamento, relativo al 1998, per maggiore Irpef e Irap sulla base dell’applicazione dei parametri. Il professionista ha presentato con successo ricorso in Ctp, totalmente accolto. Diversamente si sono espressi i giudici di appello cui si era rivolta l’Amministrazione finanziaria, proponendo ricorso contro la sentenza di primo grado. In questo secondo giudizio, la pretesa tributaria è stata ridotta “di almeno il 50%”. Il medico ricorre in Cassazione.

Con sentenza n. 11893, del 27 maggio 2011, la Suprema Corte ha ritenuto corretta l’applicazione dei parametri nel caso di accertamento avverso il professionista, sussistendo tutti i presupposti normativi relativi a tale forma di controllo. Di qui, la conclusione relativa alla vicenda sollevata e secondo cui il giudice tributario non può ridurre la pretesa tributaria utilizzando una valutazione esclusivamente equitativa. È necessario che lo stesso fornisca tutti gli elementi utili a provare il maggior reddito effettivo del contribuente, non potendo affidarsi a giudizi di natura puramente equitativa. Per la Corte, la riduzione della pretesa tributaria da parte dei giudici di secondo grado è, dunque, erronea perché effettuata senza utilizzare alcun criterio concreto ed oggettivo.
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