Sul rinvio a giudizio nessuna responsabilità del magistrato

Pubblicato il 27 febbraio 2015 La richiesta di rinvio a giudizio consiste in un'attività di valutazione del fatto e della prova, esclusa dall'ambito della Legge n. 117/1988 sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati (Legge cosiddetta “Vassalli”) ai sensi del comma 2 dell'articolo 2 di detta Legge, sempre che non si fondi su fatti pacificamente insussistenti, ovvero avulsi dal contesto probatorio acquisito.

In tale contesto, anche la reiterazione delle richieste di rinvio a giudizio, nonostante i vizi formali delle precedenti e anche l'infondatezza riconosciuta ex post a dibattimento, non vale di per sé sola a ritenere “eccessiva” “la doverosa pervicacia nel perseguimento del proprio dovere istituzionale”, anche attraverso la rimozione di eventuali errori o vizi pregressi in ostinazione vessatoria o condotta comunque colpevole, se non in presenza di fatti specifici ed ulteriori.

Fatti, tuttavia, che devono essere analiticamente dimostrati ed indicati dal soggetto che afferma di essere stato leso, in relazione al momento in cui la richiesta è stata formulata e, in quanto tali, sottoposti al giudice di merito e, quindi, in presenza dei requisiti di autosufficienza del ricorso, anche alla corte di legittimità.

E' quanto puntualizzato dalla Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 3916 del 26 febbraio 2015.
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