Il trattamento di fine rapporto non può essere erogato con cadenza mensile, nemmeno in presenza di accordi individuali o collettivi che non rispettino espressamente le condizioni previste dall’art. 2120 del Codice Civile. A ribadirlo è l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota 3 aprile 2025, n. 616, che chiude definitivamente la porta a una prassi interpretativa talvolta riaffiorata dopo il periodo sperimentale della Qu.I.R. introdotto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190.
Se già la giurisprudenza della Corte di Cassazione, con l’ordinanza 22 febbraio 2021, n. 4670, aveva respinto l’idea secondo cui l’erogazione ricorrente della quota maturanda potesse costituire trattamento di miglior favore, l’INL oggi ne ribadisce l’illegittimità sul piano contributivo, qualificando l’anticipo sistematico in busta paga come mera maggiorazione retributiva. La ratio del TFR, quale forma di retribuzione differita e destinata, per sua natura, a operare solo in caso di cessazione del rapporto.
Né il contratto individuale, né quello collettivo, possono derogare alla previsione normativa senza ricadere in fattispecie che, per effetto della trasformazione dell’istituto in elemento corrente della retribuzione, determinerebbero i consequenziali obblighi contributivi.
L’INL chiarisce infatti che solo in presenza di specifici presupposti soggettivi (anzianità lavorativa, spese sanitarie, acquisto prima casa, ecc.) l’anticipazione del TFR può rientrare nel perimetro di legittimità tracciato dalla legge.
A fronte di tale irregolarità, il personale ispettivo potrà intervenire adottando il nuovo provvedimento di disposizione ex art. 14, d.lgs. n. 124/2004, invitando la parte ad accantonare quanto già anticipato.
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