Uscite di cassa Il contribuente non è tenuto a provare l’inerenza

Pubblicato il 19 aprile 2017

La Corte di legittimità ha cassato la decisione con cui i giudici di secondo grado avevano confermato un avviso di accertamento fondato sulle “uscite di cassa”, asserendo che, nella specie, la società contribuente non aveva pienamente assolto il proprio onere controprobatorio rispetto alla presunzione legale di cui agli articoli 32 del DPR n. 600/1973 e 51 del DPR n. 633/1972.

La Cassazione – ordinanza n. 9761 del 18 aprile 2017 - ha, in particolare, accolto la doglianza avanzata dalla Srl ricorrente rispetto alle conclusioni di merito, nella parte in cui era stato ritenuto che l'onere della contribuente consistesse non solo nell’indicazione dei beneficiari dei prelevamenti in esame e della relativa contabilizzazione, ma anche nella dimostrazione del requisito dell’inerenza all’attività di impresa.

Presunzione legale e onere del contribuente per vincerla

Così, dopo aver ribadito il principio secondo cui, in tema di Iva, è possibile che l’amministrazione rettifichi su base presuntiva la dichiarazione del contribuente utilizzando i dati relativi ai movimenti su conti bancari dallo stesso intrattenuti, la Suprema corte ha, comunque, ricordato che la detta presunzione, correlata agli accertati prelevamenti operati sui conti correnti bancari, ritenuti “uscite di cassa”, debba ritenersi superata qualora i versamenti siano stati regolarmente contabilizzati dalla società e la stessa – come nella specie – fornisca giustificazioni in ordine al transito ed al conteggio in contabilità dei dati in questione.

Inerenza non pertinente

Nel caso in esame, tuttavia, la decisione impugnata risultava palesemente contraria a questo assunto, in quanto introduceva l’ulteriore onere probatorio dell’inerenza della movimentazione finanziaria all’attività di impresa che – secondo la Corte – non era affatto pertinente alla presunzione legale de quo.

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