Credito Fondiario fra esecuzione individuale e concorso formale: il riparto delle spese

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Credito Fondiario fra esecuzione individuale e concorso formale: il riparto delle spese

Con una recente pronuncia la S.C.  (Cassazione Civile, Sez. I, 30 marzo 2015, n. 6377) è tornata a ribadire un principio ormai acquisito in tema di compatibilità fra l’azione individuale spettante al creditore fondiario e l’obbligo dell’accertamento del passivo dei crediti in sede di verifica fallimentare.

Così si è espressa la S.C.: <<  L’art. 41, comma 2, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, nel prevedere che il creditore fondiario può iniziare o proseguire l’azione esecutiva sui beni ipotecati anche successivamente alla dichiarazione di fallimento del debitore, deroga al divieto di azioni esecutive individuali previsto dall’art. 51 l.fall., ma non anche alla norma imperativa di cui all’art. 52 l.fall., secondo la quale ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o esentato dal divieto di azioni esecutive, deve essere accertato nelle forme previste dalla legge fallimentare. L’insinuazione al passivo costituisce, pertanto, un onere per la banca mutuante (sancito espressamente, a seguito della riforma della legge fallimentare, anche per i creditori esentati dal divieto di cui all’art. 51 l.fall.) al fine dell’esercizio del diritto di trattenere definitivamente, nei limiti del “quantum” spettante a ciascun creditore concorrente all’esito del piano di riparto in sede fallimentare, le somme provvisoriamente percepite a titolo di anticipazione in sede esecutiva>>.

Con il decreto correttivo (d.l.vo 167/’07) è stato modificato l’art. 52 l.fall. (sul quale era già in- tervenuto il D.Lgs. n. 5 del 2006 imponendo il concorso formale sia ai crediti prededucibili sia a quelli muniti di diritti di prelazione), statuendo che “le disposizioni del secondo comma [verifica dello stato passivo] si applicano anche ai crediti esentati dal divieto di cui all’art. 51 l.fall.”. A tale modifica cor- risponde un’ aggiunta al primo comma dell’art. 110 l.fall., a mente del quale oggi nel progetto del piano di riparto “sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all’art. 51 l.fall.”, norma   della legge fallimentare riformata che  ammette per alcuni crediti la non vigenza del  divieto di azioni esecutive e cautelari.

Sciolto il nodo teorico, nel senso dell’universale obbligatorietà dei creditori di sottostare alle regole dell’insinuazione allo stato passivo e alle indicazioni della legge fallimentare, dopo la Novella del 2007, diventa più agevole sostenere non solo il potere del creditore fondiario di proseguire nell’e- secuzione individuale nonostante il fallimento del debitore, ma anche l’obbligo di restituire al curato- re quanto eccedente il piano di riparto predisposto dal giudice fallimentare ex art. 110 l.fall., che pre- vale su ogni determinazione del giudice dell’esecuzione. A tal proposito, va senza dubbio disatteso il ragionamento secondo il quale, qualora il curatore sia intervenuto nel procedimento e abbia svolto una domanda non meramente processuale, l’accertamento del giudice dell’esecuzione prevale sulla verifica esercitata dal giudice fallimentare nello stato passivo, poiché, così facendo, si ammette la natura disponibile della verifica dello stato passivo. Infine, pare sopita ogni discussione sia sulla naturale scadenza del credito capitale alla data del fallimento a prescindere dal piano di ammortamento del mutuo fondiario, come prescrive l’art. 55 l.fall., sia sulla decorrenza degli interessi ai sensi dell’art. 54 l.fall., il quale rinvia alla disciplina codicistica contenuta nell’art. 2855 c.c., che equivale ad affermare, del tutto correttamente, che l’art. 51 l.fall. concerne la fase traslativa dell’esecuzione forzata mentre quella distributiva è regolata dal principio fissato nell’art. 52 l.fall.

Inoltre, se risulta discussa l’idea che il creditore fondiario possa incassare le somme ottenute in sede di esecuzione anche se il suo credito non sia stato definitivamente insinuato allo stato passivo, pur prevalendo la risposta affermativa (cfr. Trib. Torino, 10 ottobre 2008, in Il Fallimento 2009, 1229 ss.), avallata però sia dal secondo comma dell’art. 41 del T.U.B. e dal primo dell’art. 510 c.p.c. sia dalla natura stessa del privilegio processuale, è invece oggi sicuro che il fallito non sia parte di tale procedimento. È peraltro altrettanto pacifico che il giudice fallimentare abbia la facoltà di disporre la vendita coattiva degli stessi beni oggetto dell’esecuzione fondiaria, risultando la priorità temporale della data dell’asta per la vendita del bene il criterio per attribuire prevalenza all’una o all’altra procedura (cfr. Cass. 8 settembre 2011, n. 18436, cit., 326); infine, non si discute che il privilegio processuale possa essere oggetto di cessione. Si ritiene anche che, in deroga al primo comma dell’art. 114 l.fall., il creditore fondiario, insinuato allo stato passivo, debba comunque restituire la differenza tra quanto ricevuto a soddisfazione del proprio credito in sede di esecuzione individuale e quanto risulti dal riparto fallimentare non reclamato ex art. 110 l.fall.

Da ultimo, occorre evidenziare che dopo la sentenza n. 23572 del 2004 della Corte di cassazione (Cass. 17 dicembre 2004, n. 23572, cit.), è oggi possibile affermare che il rapporto tra l’esecuzione fondiaria e le spese in prededuzione del fallimento è regolato dal principio generale, in virtù del quale al creditore fondiario devono essere imputate le spese della liquidazione fallimentare sostenute per la specifica conservazione del bene nonché i costi generali che siano stati affrontati nell’interesse dell’ipotecario (fondiario); molto più discussa è invece la ripartizione delle spese generali della procedura concorsuale. Il fondamento del dibattito ha ancora una volta una complessa radice teorica (cfr. nota Federico Casa, in Il Fallimento 7/’15)  . Infatti, venuta meno ogni differenza tra la procedura esecutiva individuale e quella fallimentare (se non per quanto riguarda le spese per la vendita dell’immobile che nella esecuzione fondiaria vengono sostenute dal creditore ipotecario), la Suprema Corte è costante nel sostenere che, in mancanza di specifici elementi di confronto, l’incidenza delle spese di procedura prededucibili non incide in modo omogeneo sul ricavato della vendita, dovendosi, di volta in volta, verificare l’utilità delle attività svolte dal curatore a favore dei creditori garantiti (cfr. Cass. 10 maggio 1999, n. 4626; Cass. 6 giugno 1997, n. 5104, ivi, 1998, 261 ss.), nelle quali vi si fanno rientrare, co- munemente, i costi per l’accertamento del credito e per la predisposizione del riparto. La discussione attiene al concetto dell’“autonomia dei riparti”, poiché, laddove si ammetta, come insegna la Corte di cassazione, che il riparto del ricavato dai beni ipotecati sia una operazione autonoma, i creditori titolari della relativa prelazione non concorrono con i creditori aventi titolo ad un soddisfacimento in prededuzione, se non nei limiti della utilità conseguita dai creditori garantiti.

Qualora, invece, come si ritenga che la legge fallimentare non contempli riparti distinti e separati per la distribuzione del residuo attivo, anche i creditori ipotecari (e quelli fondiari) concorrono con gli altri creditori concorsuali, compresi quelli chirografari; l’attivo ricavato pertanto confluisce in una unica massa sulla quale concorrono tutti i creditori secondo l’ordine prefissato dall’art. 111 l.fall., cosicché l’unico criterio di ripartizione dei costi in prededuzione che possa essere riconosciuto è quello dell’imputazione proporzionale, cioè quello del rapporto tra il ricavato dalla vendita di un bene e il realizzo complessivo della procedura fallimentare. Secondo questa prospettiva, che ci pare preferibile anche in termini di certezza dei rapporti giuridici, al creditore fondiario verranno imputati una percentuale dei costi in prededuzione corrispondente al rapporto tra l’attivo fallimentare conseguito e quanto ricavato dalla vendita del bene sul quale insisteva il privilegio fondiario.

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